Il Responsabile Sanità della Lega è tra coloro che non sono favorevoli ad aderire al Meccanismo Europeo di Stabilità: «Si tratta di un prestito che comporterebbe un ulteriore indebitamento, ma alla Sanità servono finanziamenti a fondo perduto»
Neanche il tempo di ragionare sull’intesa europea relativa al Recovery Fund che la politica italiana torna ad interrogarsi con insistenza sulla possibilità di aderire al MES, il prestito che l’Europa è pronta a concedere agli Stati membri per potenziare i propri sistemi sanitari dopo l’emergenza Covid-19. L’adesione al MES ha trovato in queste settimane molti esponenti del mondo politico e della sanità favorevoli ad accogliere questi soldi (ad esempio i sindacati confederali, l’Anaao e anche il Ministro della Salute Roberto Speranza si sono detti favorevoli) ma c’è anche chi dice “no”.
«Non è un prestito quello che serve alla sanità ma occorrerebbe un investimento a fondo perduto per recuperare i 37 miliardi che sono stati tagliati in sanità da dieci anni a questa parte» spiega a Sanità Informazione l’assessore alla Sanità della Regione Umbria e Responsabile Sanità della Lega Luca Coletto, fino ad un anno fa Sottosegretario alla Salute del governo giallo-verde sempre a guida Giuseppe Conte.
«Tra i soldi che hanno tagliato e quelli che non hanno dato alle regioni mancano 37 miliardi che sono esattamente quelli del MES – spiega Coletto -. In tutti i casi non basta avere un finanziamento, bisogna avere un progetto. E poi è bene ricordare che un prestito va restituito e non è detto che noi saremo in grado di farlo. Anche se fossimo in grado ciò comporterebbe un ulteriore indebitamento. Di tutto abbiamo bisogno tranne che indebitare ulteriormente le prossime generazioni. Regaleremmo ai nostri figli e ai nostri pronipoti ulteriori debiti».
Coletto non nega che la sanità italiana abbia bisogno di una profonda ristrutturazione, di un “Piano socio-sanitario” che la rilanci, ma non con i soldi del MES.
«Abbiamo bisogno di interventi per mantenere l’eccellenza del SSN ma lo strumento più sbagliato sarebbe il MES. Non vorrei che alla fine il risultato di questo sia un peso sempre maggiore delle assicurazioni con un ritorno a una sanità come quella delle mutue di 40 anni fa. Non è il MES che ci serve ma investimenti a fondo perduto per restituire alla sanità i soldi che sono stati tagliati dai governi passati».
Sul MES pendono anche dubbi relativi alle modalità di utilizzo: è stata l’ex Ministro della Salute Giulia Grillo a sottolineare la possibile difficoltà di utilizzare quelle somme a prestito per incrementare il personale sanitario.
«Si tratta di soldi legati ad investimenti – spiega il Responsabile Sanità della Lega -. Sul personale bisognerebbe verificare, io non mi sentirei di dire che non si può assumere personale. Dipende da come uno colloca il personale convenzionato, si potrebbe trovare una formula. Ma non abbiamo bisogno oggi come oggi di queste trappole. Sul personale fino all’anno scorso, è stato il governo giallo-verde a far saltare il limite alle assunzioni: il personale era legato ancora alla vecchia definizione della spending review del governo Monti, che definiva il limite per quanto riguarda il personale sui costi del 2004. Il parametro era legato ai numeri del personale e ai costi riferiti all’anno 2004 diminuiti dell’1,4%. Una cosa del genere non era più sopportabile, così nel 2019 abbiamo alzato questo tetto: adesso si riparametra ai costi del 2018 incrementati del 5%, naturalmente nel rispetto dell’equilibrio di bilancio. Le strategie c’erano già».
Se comunque questi soldi alla fine dovessero arrivare, se non dal MES dal Recovery fund, Coletto saprebbe come utilizzarli: «Noi dobbiamo innanzitutto ristrutturare e razionalizzare il sistema. Vanno effettivamente create, come da Decreto ministeriale 70, quelle che sono le reti ospedaliere “Hub & Spoke”, va costruito soprattutto quello che è un tessuto territoriale che ormai non esiste più. Questo è stato dimostrato anche durante l’emergenza Covid. Le regioni che meglio hanno resistito all’impatto sono state quelle che avevano un territorio meglio strutturato, quindi va rivisto il territorio, vanno create le Aft (Aggregazioni funzionali territoriali) e distribuite su tutto il territorio nazionale, questo anche in considerazione dell’aumento dell’aspettativa di vita. In funzione di questa situazione e dell’aumento delle patologie croniche è necessario avere un territorio reattivo, una telemedicina che funzioni, una forte digitalizzazione della sanità. Bisogna creare una maglia molto fitta di servizi sul territorio per riuscire a gestire le comorbidità, le patologie croniche come il diabete o la BPCO a livello territoriale senza andare ad intasare gli ospedali destinati alle patologie acute. Dall’altro lato serve una messa in sicurezza degli ospedali sia dal punto di vista antisismico che dal punto di vista antincendio. Voglio ribadire che i soldi investiti in sanità non sono costi ma investimenti».
Infine, Coletto sottolinea l’importanza di avere un Sistema sanitario universale, che non dobbiamo abbandonare per nessun motivo: «Se la sanità passasse nelle mani delle mutue e delle assicurazioni e venisse privatizzato i costi aumenterebbero a dismisura ma non aumenterebbero alla pari quelli che sono i servizi resi al cittadino, anzi aumenterebbero sicuramente i costi perché saremmo costretti a farci l’assicurazione privata per essere curati. Ci può essere una compartecipazione del privato, ma a decidere deve essere il pubblico. La programmazione la fanno le regioni che possono anche servirsi di ospedali privati ma questi devono essere complementari, cioè fare quello che non riesce a fare il pubblico».
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