Il British Medical Journal sostiene la legalizzazione della morte assistita. Sostenuta dalla «maggioranza dell’opinione pubblica inglese», a detta del BMJ, la morte assistita è «il proseguimento della presa in carico del paziente che la richieda in piena consapevolezza, funziona bene in altre parti del mondo» e va quindi introdotta nella legislazione. Proprio mentre in Italia infuoca […]
Il British Medical Journal sostiene la legalizzazione della morte assistita. Sostenuta dalla «maggioranza dell’opinione pubblica inglese», a detta del BMJ, la morte assistita è «il proseguimento della presa in carico del paziente che la richieda in piena consapevolezza, funziona bene in altre parti del mondo» e va quindi introdotta nella legislazione. Proprio mentre in Italia infuoca il dibattito sul processo a Marco Cappato, accusato di suicidio assistito per aver accompagnato dj Fabo a morire in Svizzera, una tra le più importanti ed autorevoli riviste scientifiche nel mondo scende in campo a favore dell’eutanasia.
In un editoriale che accompagna uno speciale pubblicato sul numero dell’8 febbraio, la direttrice Fiona Godlee si rivolge inoltre ai medici inglesi chiedendo loro di adottare «per lo meno una posizione neutrale per permettere un dibattito pubblico aperto e informato». Parole chiare, che accompagnano una serie di articoli quasi tutti a favore della morte assistita ma che non nascondono quanto sia difficile per i medici aiutare i pazienti in questa scelta.
In un sondaggio dello scorso anno è risultato che il 55% dei medici britannici sarebbe favorevole alla proposta, cui tuttavia si oppone la British Medical Association. «Quella della BMA è una posizione tremenda, non hanno alcuna empatia» commenta al Mirror Sara Starkey, vedova di un malato di Parkinson che l’anno scorso ha posto fine alla sua vita in una clinica in Svizzera. «Mio marito sarebbe stato felice di poter morire nella sua casa quando si sentiva pronto».
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Sarah Jessiman, 51 anni, è malata terminale: «Sono terrorizzata della morte che mi aspetta. Non voglio andare in Svizzera e non voglio tentare il suicidio. Vorrei solamente avere l’opportunità di poter morire a casa accanto al mio cane».
Nelle pagine della rivista trova anche spazio un articolo dal titolo “Come ci si sente ad aiutare un paziente terminale a morire di una morte dignitosa“. A firmarlo, Sabine Netters, la dottoressa olandese che 10 anni fa aveva raccontato la sua prima esperienza con un paziente che le aveva chiesto di aiutarlo a morire. «Mi ha fatto capire che anche quando le terapie falliscono – si legge – il ruolo del medico non è finito ma cambia. L’obiettivo non è più allungare la vita ma aiutare a morire meglio. I libri di testo però non danno alcun consiglio e anni di tirocinio mi hanno lasciato impreparata».
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