Sanità 8 Novembre 2019 09:07

«No al federalismo in sanità. Serve una migliore offerta formativa». I chirurghi bocciano le scelte del Governo

Se ne è parlato al workshop promosso dal Collegio Italiano dei Chirurghi e la Società Polispecialistica Italiana dei Giovani Chirurghi (SPIGC): «L’assunzione di medici in formazione determinerà nell’immediato futuro un peggioramento della qualità dell’assistenza offerta»

Federalismo differenziato in sanità, formazione in chirurgia e reclutamento di giovani specialisti/specializzandi nel territorio, sono stati i temi centrali del workshop “In tema di federalismo differenziato e reclutamento giovani specialisti sul territorio” svoltosi a Roma presso l’Università La Sapienza e promosso dal Collegio Italiano dei Chirurghi e la Società Polispecialistica Italiana dei Giovani Chirurghi (SPIGC).

«A proposito del federalismo regionale differenziato, – si legge nella nota condivisa dalle due associazioni di categoria – proposto dal precedente governo gialloverde, in accordo con CIMO e FNOMCEO, presenti all’incontro rispettivamente con il presidente Guido Quici ed il VicePresidente Giovanni Leoni, il CIC, con il Presidente Filippo La Torre e la SPIGC hanno sostenuto che il federalismo in sanità potrebbe creare ed amplificare una diseguaglianza nelle cure, che peraltro è già presente, tra le varie regioni italiane. Questo potrebbe inoltre avere un impatto negativo anche sull’offerta formativa per i medici in formazione specialistica, con un sempre maggiore flusso migratorio verso regioni virtuose o paesi stranieri. Si auspica pertanto che il governo mantenga e promuova l’unità del nostro Servizio Sanitario Nazionale che ad oggi, grazie anche all’universalismo delle cure, rimane tra i più virtuosi».

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«In merito alla formazione in chirurgia e al reclutamento sul territorio dei giovani specialisti/specializzandi, sono stati presentati i dati di una survey proposta dalla SPIGC sull’offerta formativa delle scuole di specializzazione chirurgiche in Italia. L’analisi dei risultati ottenuti su più di 500 risposte ha confermato che la maggior parte dei medici in formazione specialistica la ritiene inadeguata in quanto non vengono rispettati nella maggior parte dei casi i requisiti minimi richiesti durante il percorso formativo, in termini di procedure chirurgiche eseguite come primo o secondo operatore».

«Tra le varie proposte avanzate, si ritiene fondamentale una sempre maggiore integrazione tra le università e le strutture ospedaliere sul territorio per creare reti cliniche che permettano al medico in formazione di acquisire tutti gli skills necessari a svolgere la professione chirurgica una volta terminato il percorso formativo. Il MIUR dovrebbe anche garantire un’uniformità dell’offerta formativa su tutto il territorio nazionale, garantendo ai medici in formazione la possibilità di partecipare a corsi di perfezionamento su cadavere e la disponibilità di simulatori per un migliore training chirurgico. Tali attività oggi sono nella maggior parte dei casi possibili solo attraverso l’autofinanziamento dei giovani medici e grazie alla compartecipazione delle aziende farmaceutiche».

«Per quanto riguarda invece le proposte di legge in merito all’assunzione di medici in formazione, SPIGC e CIC sono assolutamente in disaccordo con le proposte avanzate dal governo, in quanto un medico in formazione non può essere equiparato ad uno specialista. Le carenze d’organico non possono essere risolte sostituendo personale specializzato con medici che devono ancora terminare il proprio percorso formativo. In tal senso restano da chiarire anche eventuali risvolti medico-legali e problematiche di natura contrattuale soprattutto in termini salariali. La strada intrapresa dagli organi di governo sembrerebbe voler risolvere il problema della carenza d’organico senza tener conto della professionalità dei sanitari coinvolti nel percorso di cura; tutto questo, seppur apparentemente possa rappresentare una soluzione, determinerà nell’immediato futuro un peggioramento della qualità dell’assistenza offerta. Andrebbe invece migliorata la appetibilità di questo tipo di professionalità, soprattutto nei Pronto Soccorso, che, nel territorio sono poco remunerate, di scarsa gratificazione e ad alto rischio di denuncia e violenza».

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