Una proposta di legge regionale di Fabiano Amati (Pd) punta a garantire in Puglia il suicidio medicalmente assistito. Spiega Amati: «L’aiuto alla morte per persone malate terminali è già una prestazione prevista dall’ordinamento in virtù della sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019, le regioni hanno solo bisogno di norme organizzative». Nel testo viene garantita l’assistenza gratuita del SSN
Mentre a livello nazionale la legge sul fine vita giace al Senato bloccata dall’ostruzionismo del centrodestra, il tema del suicidio medicalmente assistito inizia a fare breccia nelle Regioni. Apripista è la Puglia dove il presidente della Commissione regionale bilancio e programmazione Fabiano Amati, del Partito democratico, si è fatto promotore di una legge in materia di “Assistenza sanitaria per la morte serena e indolore di pazienti terminali”. Iniziativa seguita da analoga proposta di legge nelle Marche (la regione dei casi di Federico Carboni e Fabio Ridolfi) presentata dalla consigliera regionale del Partito Democratico Manuela Bora.
Il presupposto di queste iniziative è che non serve una legge nazionale per garantire il suicidio assistito ma basta rendere operativa la sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019, quella sul caso Dj Fabo.
«I casi che si sono registrati in Italia hanno sollecitato uno studio più approfondito – spiega Amati a Sanità Informazione -. È emerso che l’aiuto alla morte per persone malate terminali è già una prestazione prevista dall’ordinamento in virtù della sentenza ella Corte costituzionale 242 del 2019. Se quindi è una prestazione già prevista con quella sentenza che è additiva di prestazioni, quella prestazione dev’essere erogata da strutture sanitarie del servizio pubblico. La legge regionale serve a garantire norme di carattere organizzativo che rendono la sentenza operativa».
Il presupposto di queste iniziative è dunque che non serve una legge statale per garantire l’assistenza a chi ha i requisiti per accedere al suicidio medicalmente assistito.
Il rischio, però, è che anche il diritto alla ‘dolce morte’ possa subire gli effetti distorsivi del regionalismo sanitario. «Ma accade per tante prestazioni sanitarie – spiega Amati -. Le regioni sono i gestori del servizio sanitario pubblico. Prendiamo il Sequenziamento dell’esoma: dall’1% del DNA si può diagnosticare l’85% delle malattie. Ci sono regioni che lo erogano e altre che non le erogano. Qui si replicherebbe il medesimo squilibrio che si verifica in altre circostanze, ma una cosa è certa: non abbiamo bisogno di aspettare un a legge statale».
Una legge regionale eviterebbe anche quanto accaduto a Federico Carboni, alias ‘Mario’, costretto a una colletta per potersi pagare i farmaci e le procedure per l’ultimo atto. Nella legge pugliese viene specificato che “le prestazioni e i trattamenti previsti dalla presente legge sono assicurati gratuitamente, nell’ambito del percorso terapeutico-assistenziale erogato in favore di pazienti affetti da malattie in stato terminale e cronico”.
«Anche per questo servono subito norme organizzative da parte delle regioni: non vogliamo che in Puglia accada quanto accaduto a Mario. Spero che in tutte le regioni si approvino norme organizzative. Non possiamo aspettare la norma statale» aggiunge Amati.
La Consulta, nella sentenza sul caso Dj Fabo, è stata chiara: l’aiuto alla morte di una persona malata terminale è fuori dall’ambito della punibilità penale a determinate condizioni che sono state puntualmente riportate nella legge regionale pugliese: “L’assistenza sanitaria – si legge nel testo – consistente in prestazioni e trattamenti clinicamente adeguati, è assicurata a persone in possesso dei seguenti e contestuali requisiti: siano capaci di assumere decisioni libere, consapevoli e abbiano espresso autonomamente e liberamente la volontà di accedere alle prestazioni e ai trattamenti, con le modalità e gli strumenti più consoni alle condizioni cliniche; siano affette da patologie irreversibili; siano tenute in vita con trattamenti di sostegno vitale; si trovino in condizione di sofferenze fisiche e psicologiche assolutamente intollerabili”,
«La legge statale sarebbe necessaria solo se si volessero modificare l’impianto della sentenza della corte» sottolinea Amati che, da credente, resta comunque convinto che la legge non sia in contraddizione con i precetti cattolici: «Non dobbiamo dimenticarci della teologia della speranza: nella fine c’è l’inizio e quindi l’essere umano non può essere soggetto di sperimentazioni. Va accolta la volontà del malato terminale di congedarsi dalla vita per non soffrire: la vita mana è una esperienza non una sperimentazione. Io sono credente ma questa decisione è coerente la decisione di aiutare al congedo della vita. Comunque, non si legifera per se stessi, il processo legislativo non può essere influenzato dal proprio convincimento. La laicità è un metodo».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato