Il direttore del quotidiano: «Se vince il Sì cambia qualcosa e cambia in meglio. Se vince il No non cambia niente. Ed è complicato dire che questa sarebbe una buona notizia per il Paese»
Sì o no? Ho incontrato l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e durante un lungo colloquio avuto con lui di fronte al Senato, l’ex capo dello Stato ha usato due concetti cruciali per capire in che senso il referendum costituzionale può aiutare l’Italia a essere un Paese più in salute rispetto a oggi. Napolitano ha evidenziato che il referendum di dicembre “non è pro o contro Renzi ma è a favore o contro una svolta per il complessivo progresso dell’Italia”. La riflessione numero uno è un ragionamento politico: “schierarsi per il No non significa schierarsi contro una riforma imperfetta, ma contro la possibilità che il nostro Paese entri pienamente in una fase storica importante, quella in cui finalmente portare avanti molteplici riforme necessarie e già troppo a lungo ritardate”. La riflessione numero due è invece un ragionamento più di natura economica e in questo caso Napolitano ha fatto proprie le parole del grande giurista Leopoldo Elia: “le molte strozzature che impediscono al nostro Paese di essere al passo con i tempi sono direttamente collegate all’incapacità che ha avuto il nostro sistema politico e istituzionale di autoriformarsi”. Soffermiamoci, allora, sui dettagli della riforma.
Dal punto di vista politico il No rappresenta essenzialmente il tentativo di dare una “spallata” a Renzi. Emblematica la “conversione” del coordinatore dei comitati del No del centro-destra, Renato Schifani. Prima che saltasse il patto del Nazareno, parlava così della riforma Boschi: “il superamento del bicameralismo paritario, lo snellimento e la semplificazione legislativa, tempi certi per l’approvazione delle leggi per superare finalmente l’incapacità decisionale che affligge il nostro sistema: ne sarà rafforzata e resa più efficace non solo l’azione di governo, ma anche il confronto e la dialettica parlamentare”. E non solo. “Il titolo V che regola il rapporto fra lo Stato e Regioni viene profondamente riformato, correggendo i gravi limiti della revisione costituzionale del 2001”.
Proprio la revisione del Titolo V è uno dei veri punti forti della riforma e quello che interessa da vicino la sanità. Questo perché la passata riforma del titolo V – quella del 2001 – ha creato 21 sistemi sanitari diversi, in territori con differente gettito fiscale, con differente capacità e appropriatezza di spesa, con differente organizzazione dei sistemi sanitari regionali e della loro appropriatezza nella risposta ai bisogni sanitari. E la trasformazione di un diritto costituzionalmente garantito, come quello alla salute, in una variabile impazzita troppo legata ad alcune inefficienze locali ha contribuito a determinare l’incapacità del sistema di assicurare in modo omogeneo i livelli essenziali di assistenza (con la modifica del Titolo V verrebbe meno la cosiddetta legislazione concorrente tra Stato e Regioni e si ristabilirebbe in questo modo un forse a questo punto necessario primato statale nelle decisioni di politica sanitaria). Sbaglia chi dice che il referendum del 4 dicembre sarà l’armageddon della politica italiana ma al contrario non sbaglia chi dice che con il voto sul referendum costituzionale c’è in ballo una grande possibilità: quella di eliminare non tutte ma molte delle grandi strozzature che rendono la politica debole di fronte ai piccoli e grandi veti del Paese e che impediscono all’Italia di avere un sistema istituzionale al passo con i tempi. Se vince il Sì cambia qualcosa e cambia in meglio. Se vince il No non cambia niente – ed è complicato dire che questa sarebbe una buona notizia per il Paese.
Questo intervento è tratto dalla testata Consulcesi News, n. 1, Anno 3° Ottobre 2016