Quello che per anni è stato il mantra del PNE (non sono classifiche, pagelle o giudizi di merito sul singolo ospedale) sembra scricchiolare. In Italia si allarga sempre di più la forbice tra ospedali di eccellenza che offrono cure di qualità a rischiosità alta o molto alta e quelle che, al contrario, non brillano affatto sia in qualità che in volumi di prestazioni effettuate
In Italia si allarga sempre di più la forbice tra ospedali di eccellenza che offrono cure di qualità a rischiosità alta o molto alta e quelle che, al contrario, non brillano affatto sia in qualità che in volumi di prestazioni effettuate. Il numero degli ospedali con livelli di eccellenza, in almeno il 50% dell’attività svolta, sono cresciuti del 3% rispetto al 2021 e in selezionate aree specialistiche. Ma accanto a queste strutture ci sono invece ospedali da evitare.
E le differenze a livello regionale non sono più quelle alle quali siamo stati abituati: i “buoni” e i “cattivi” sono tanto al Nord quanto a Centro e al Sud. Ma non solo, le difformità posso esserci all’interno delle regioni stesse e così il cittadino, pur rimanendo nel suo territorio rischia di avere cure molto differenti per qualità a seconda della struttura scelta. E spesso può capitare che all’interno di un ospedale convivano reparti di eccellenza e altri che invece non decollano
A scattare la fotografia dell’assistenza in Italia è l’Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali che ha presentato i risultati dell’Edizione 2023 del Programma nazionale esiti (Pne).
Un sistema accurato di indicatori in grado di valutare fino al 90% delle attività degli ospedali per aree di specialità.
Sotto la lente degli analisti è finita l’attività assistenziale effettuata nel 2022 in 1.382 ospedali pubblici e privati e grazie all’utilizzo sempre più chirurgico di una modalità sintetica chiamata treemap – che utilizza indicatori in grado di misurare i volumi di attività degli ospedali e gli esiti e di evidenziare le criticità delle realtà assistenziali per singola struttura – è possibile farsi un’idea ben precisa delle strutture dove poter ricevere performance di eccellenza.
E così si scopre che il migliore ospedale d’Italia, per il secondo anno consecutivo, è l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano: conquista il podio per aver erogato cure di qualità alta o molto alta in 7 aree cliniche su un totale di 8 (cardiocircolatorio, respiratorio, chirurgia generale, chirurgia oncologia, osteomuscolare, nefrologia, sistema nervoso, gravidanza e parto). Un ospedale privato accreditato seguito a ruota dalla struttura pubblica l’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche. Al terzo posto invece troviamo l’Humanitas Gavazzeni di Bergamo e al quarto l’Humanitas Mater domini di Castellanza, Varese. Ma accanto a queste eccellenze ci sono anche otto ospedali collocati sia a Nord che al Sud a rischio.
Ma in generale i nostri ospedali “resistono” anche se la fatica si fa sentire. La zavorra della pandemia si sta sicuramente alleggerendo, nel 2022 i ricoveri sono infatti aumentati (+328 mila rispetto al 2021) e la corsa per riallinearsi ai livelli prepandemici sta quindi dando i suoi frutti nonostante manchino ancora all’appello circa 890 mila ricoveri (-10% rispetto al 2019). In particolare hanno recuperato i ricoveri programmati e quelli diurni, mentre quelli urgenti continuano a mostrare il fiato corto (-13% rispetto al 2019). Ma a conti fatti nel triennio 2020-2022, sono stati persi ben 3 milioni e 800 mila ricoveri.
Per quanto riguarda le criticità, sul banco degli imputati c’è spesso una eccessiva frammentazione dell’offerta, figlia di una programmazione sbagliata. E il risultato si fa sentire: ci sono troppe strutture con bassi volumi di attività che mal si sposano con esiti di qualità. Qualche esempio? Il bypass aortocoronarico: le cardiochirurgie sono aumentate e i ricoveri hanno recuperato rispetto al periodo prepandemico, ma è diminuito il numero delle strutture che superano la soglie dei volumi indicati dal Dm 70 (11 rispetto alle 15 del 2021). Va detto però che, in questo caso, la mortalità a 30 giorni rimane comunque al di sotto della soglia del 4% indicata sempre dal Dm 70. Critica invece la situazione per il tumore al pancreas: ben 1 paziente su 3 finisce in strutture con basso o bassissimo volume di attività.
È alert invece per i parti cesarei. I segnali di decrescita registrati negli ultimi 5 anni non solo si sono fermati, ma i cesarei sono addirittura ripartiti raggiungendo i livelli del 2017. Numeri in risalita che si registrano in particolare nel privato e nel Sud Italia. Ma rimanendo nell’area perinatale le sorprese non mancano: nonostante dal 2015 al 2020 si siano persi ogni anno 17mila ricoveri per parto, nel 2021 sono aumentati del 3% e del 6% nel 2022 rispetto al previsto. Insomma nei due anni post pandemia ci sono stati 33mila parti in più rispetto l’atteso. Una luce sull’inverno demografico?
Nota dolente, in barba a ogni forma di sicurezza, un terzo dei punti nascita continua a viaggiare sotto il limite dei 500 parti l’anno. Un volume di attività che mette a rischio la mamma e il bambino
Dal report è possibile capire quali sono le best practice per area di cui riportiamo di seguito qualche esempio.
Nell’area cardiovascolare su 562 strutture valutate col treemap sono solo 55 le strutture che si distinguono. Di queste, l’Aou Careggi di Firenze è l’unica struttura che raggiunge un livello di qualità molto alto; 17 strutture raggiungono un livello di qualità alto: Ospedale Mauriziano Umberto I (Torino), Humanitas Gavazzeni (Bergamo), Fondazione Poliambulanza (Brescia), Centro Cardiologico Fondazione Monzino (Milano), Irccs S. Raffaele (Milano), Ist. Clinico Humanitas (Rozzano), Ospedale di Treviso, Ospedale di Mestre, Ospedale di Vicenza, Presidio Ospedaliero Cattinara e Maggiore (Trieste), Presidio Ospedaliero SMM (Udine), Irccs Policlinico S. Orsola (Bologna), Stabilimento Umberto I – G. M. Lancisi (Ancona), Policlinico Universitario A. Gemelli (Roma), Az. Osp. Univ. Policlinico Tor Vergata (Roma), P.O. Clinicizzato SS. Annunziata (Chieti), Aoor S. Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona (Salerno).
Sono 28 le strutture che aggiungono un livello di qualità molto alto nell’area osteoarticolate e dove è possibile entrate entro 48 dal ricovero in camera operatoria per frattura del collo del femore o farsi operare di protesi di anca di protesi di ginocchio senza correre il rischio di ritornate in ospedale dopo 30 giorni: Ospedale Maggiore Chieri, Presidio Sanitario Gradenigo (Torino), Policlinico San Marco Osio Sotto, Policlinico San Pietro (Ponte San Pietro), Ospedale di Suzzara, Osp. San Pellegrino (Castiglione delle Stiviere), Ospedale M. O. Antonio Locatelli (Piario), Ist. Clin. Humanitas (Rozzano), Irccs Policlinico San Donato (San Donato Milanese), Ospedale Aziendale di Bressanone, Presidio Ospedaliero S. Chiara (Trento), Ospedale di Rovereto, Casa Di Cura Pederzoli (Peschiera del Garda), Ospedale di Feltre, Ospedale di Conegliano, Ospedale di Portogruaro, Ospedale di Cittadella, Ospedale Nuovo Valdarno (Montevarchi), Stabilimento di Fabriano, Ospedale CTO. A. Alesini (Roma), Casa di Cura S. Anna (Pomezia), Azienda Osp. S. Giovanni Addolorata (Roma), Policl. Univ. Campus Bio Medico (Roma), Ospedale Regionale F. Miulli (Acquaviva delle Fonti), P.O. Trigona (Noto), Ist.Ort. Villa Salus I. Galatioto Srl (Melilli), Casa di Cura Igea Snc (Partinico), Casa di Cura Noto Pasqualino Srl (Palermo).
Per quanto riguarda la chirurgia oncologica sono 116 strutture promosse, quattro in particolare hanno un livello di qualità molto alta e sono: Ospedale di Mestre, Aou di Padova, Stabilimento Umberto I – G. M. Lancisi (Ancona), Policlinico Universitario A. Gemelli (Roma).
Le 28 strutture con livello di qualità alta sono: Az. Ospedaliera S. Croce e Carle (Cuneo), Humanitas Gavazzeni (Bergamo), Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi (Varese), Pres. Ospedaliero Spedali Civili (Brescia), Ospedale S. Gerardo (Monza), Ospedale Ca’ Granda-Niguarda (Milano), Irccs S. Raffaele (Milano), Istituto Europeo di Oncologia (Milano), Ist. Clin. Humanitas (Rozzano), Casa di Cura Pederzoli (Peschiera del Garda), Ospedale di Treviso, Presidio Ospedaliero SMM (Udine), Ospedale Morgagni-Pierantoni (Forlì), Azienda Ospedaliero-Universitaria (Parma), Aou (Modena), Irccs Policlinico S. Orsola (Bologna), Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Aou Careggi (Firenze), Ao San Camillo-Forlanini (Roma), Policlinico Umberto I (Roma), P.O. Spirito Santo (Pescara), A.O.U. Federico II di Napoli, Ospedale Lecce V. Fazzi, Istituto Tumori Giovanni Paolo II (Bari), Consorziale Policlinico Bari, Ospedali Riuniti di Foggia, Nuovo Ospedale Garibaldi – Nesima (Catania).
e stavolta non è solo “colpa” dei media a cui, si sa, piacciono molto le graduatorie. Anche perché dal punto di vista comunicativo è del tutto evidente che la complessità degli indicatori metodologici e i risultati che se ne traggono risulta assai più “digeribile” se tradotti (non sempre opportunamente) in semplici classifiche di merito. Ma stavolta per la prima volta a rompere il tabù è stato proprio il Direttore generale di Agenas, Domenico Mantoan che, tirando le somme a conclusione della giornata di presentazione ha chiarito come “il tempo di non fare classifiche sia ormai passato”.