Erano passati esattamente 50 anni dal giorno in cui John Gurdon aveva scoperto che la specializzazione cellulare è un processo reversibile. È squillato il telefono ed era un giornalista italiano che gli chiedeva un commento sul Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia che gli era appena stato conferito. Stoccolma in realtà non aveva ancora preso la decisione e il collega probabilmente ha tirato a indovinare, ma è stata la prima persona a parlare a Sir Gurdon di Nobel. Cosa si prova in quel momento? «Ti rendi conto di essere fortunato, perché altre persone hanno pensato che i tuoi esperimenti fossero interessanti e importanti. A volte serve tempo per capirlo».
All’epoca dell’esperimento che poi gli valse il Premio aveva 29 anni: provò che il nucleo di una cellula adulta dell’intestino di una rana poteva tornare immatura e indifferenziata ed essere riprogrammata in una cellula uovo, da cui è nato un girino. Qualche anno prima un insegnante di Biologia gli aveva detto che non sarebbe mai diventato uno scienziato, e quando lo incontriamo a Bologna, dove ha partecipato al Festival della Scienza Medica, non riesce a trattenere un risolino di soddisfazione quando gli chiediamo cosa vorrebbe dirgli, a quell’insegnante: «Non era un bravo professore. Avrebbe dovuto vedere cosa interessava ai ragazzi e investire del tempo su quello. Invece ci parlava solo delle cose che si ricordava, e alcune erano anche sbagliate…».
Oggi Sir John Gurdon ha 86 anni, assomiglia al Principe Filippo, dirige un centro di ricerca dell’Università di Cambridge che porta il suo nome e ha quella capacità di spiegare con estrema chiarezza e semplicità argomenti complessi che solo le grandi menti hanno.
«Come tutti gli scienziati dovrebbero fare, sono partito da una semplice domanda – ci racconta poco prima della sua lectio magistralis dal titolo ‘Passato, presente e futuro della riprogrammazione nucleare’ -. Tutti i tipi di cellule contengono gli stessi geni o no? Una volta provato che la risposta è affermativa, le cose sono evolute e ho avuto modo di conoscere il valore di quella risposta, che ci ha condotto alla sostituzione delle cellule. Una cosa che potrebbe essere molto utile per le persone».
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In un futuro prossimo, danni cerebrali e cardiaci e malattie ora senza cura potrebbero beneficiare del trapianto genetico nucleare con cui è possibile riprogrammare cellule adulte; ma grandi progressi si stanno registrando soprattutto in campo oculistico e nella lotta alla maculopatia: «Basterebbe – è presto detto – prendere delle cellule dalla pelle e trasformarle in cellule dell’occhio che potrebbero sostituire quelle malate».
Ma dall’esperimento sulle rane a clonare un essere vivente il passo è stato più breve del previsto. Nel 1997 la pecora Dolly veniva mostrata a tutto il mondo, ma Sir Gurdon sottolinea più volte che «la clonazione è stato il bioprodotto del mio esperimento, non era il mio obiettivo. La clonazione segue la stessa procedura, ma è un qualcosa di diverso rispetto alla domanda da cui sono partito».
Impossibile, a questo punto, non parlare della possibilità di clonare un essere umano. «Credo che alla fine riusciremo a fare qualunque cosa – commenta il Premio Nobel – ma non penso che vorremo. Ci sono ottime ragioni per non farlo. Quella che viene chiamata clonazione riproduttiva non serve a nulla negli uomini, non avrebbe alcun vantaggio».
Il punto di vista di Sir Gurdon è, ovviamente, scientifico; ma quando si affrontano temi di questo tipo il dibattito etico è inevitabile. Dilemmi e problemi che il Nobel ritiene «inutili» e «senza valore»: «È solo una questione di percezione dell’opinione pubblica, che deve essere cambiata. Non capisco proprio – conclude Sir John Gurdon – cosa si intenda per problemi etici». Si alza, ci ringrazia, ci saluta e torna nella sua stanza d’albergo: «Devo controllare che la mia presentazione per la lectio magistralis sia scritta correttamente in inglese. Non vorrei fare figuracce».