ESCLUSIVA | Abbiamo incontrato il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia John Gurdon al Festival della Scienza Medica di Bologna. Nel 1962 ha scoperto che la specializzazione cellulare è un processo reversibile, per cui, ad esempio, le cellule della pelle possono essere ‘trasformate’ in cellule degli occhi e combattere la maculopatia. Fu anche grazie ai suoi esperimenti che nacque la pecora Dolly
Erano passati esattamente 50 anni dal giorno in cui John Gurdon aveva scoperto che la specializzazione cellulare è un processo reversibile. È squillato il telefono ed era un giornalista italiano che gli chiedeva un commento sul Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia che gli era appena stato conferito. Stoccolma in realtà non aveva ancora preso la decisione e il collega probabilmente ha tirato a indovinare, ma è stata la prima persona a parlare a Sir Gurdon di Nobel. Cosa si prova in quel momento? «Ti rendi conto di essere fortunato, perché altre persone hanno pensato che i tuoi esperimenti fossero interessanti e importanti. A volte serve tempo per capirlo».
All’epoca dell’esperimento che poi gli valse il Premio aveva 29 anni: provò che il nucleo di una cellula adulta dell’intestino di una rana poteva tornare immatura e indifferenziata ed essere riprogrammata in una cellula uovo, da cui è nato un girino. Qualche anno prima un insegnante di Biologia gli aveva detto che non sarebbe mai diventato uno scienziato, e quando lo incontriamo a Bologna, dove ha partecipato al Festival della Scienza Medica, non riesce a trattenere un risolino di soddisfazione quando gli chiediamo cosa vorrebbe dirgli, a quell’insegnante: «Non era un bravo professore. Avrebbe dovuto vedere cosa interessava ai ragazzi e investire del tempo su quello. Invece ci parlava solo delle cose che si ricordava, e alcune erano anche sbagliate…».
Oggi Sir John Gurdon ha 86 anni, assomiglia al Principe Filippo, dirige un centro di ricerca dell’Università di Cambridge che porta il suo nome e ha quella capacità di spiegare con estrema chiarezza e semplicità argomenti complessi che solo le grandi menti hanno.
«Come tutti gli scienziati dovrebbero fare, sono partito da una semplice domanda – ci racconta poco prima della sua lectio magistralis dal titolo ‘Passato, presente e futuro della riprogrammazione nucleare’ -. Tutti i tipi di cellule contengono gli stessi geni o no? Una volta provato che la risposta è affermativa, le cose sono evolute e ho avuto modo di conoscere il valore di quella risposta, che ci ha condotto alla sostituzione delle cellule. Una cosa che potrebbe essere molto utile per le persone».
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In un futuro prossimo, danni cerebrali e cardiaci e malattie ora senza cura potrebbero beneficiare del trapianto genetico nucleare con cui è possibile riprogrammare cellule adulte; ma grandi progressi si stanno registrando soprattutto in campo oculistico e nella lotta alla maculopatia: «Basterebbe – è presto detto – prendere delle cellule dalla pelle e trasformarle in cellule dell’occhio che potrebbero sostituire quelle malate».
Ma dall’esperimento sulle rane a clonare un essere vivente il passo è stato più breve del previsto. Nel 1997 la pecora Dolly veniva mostrata a tutto il mondo, ma Sir Gurdon sottolinea più volte che «la clonazione è stato il bioprodotto del mio esperimento, non era il mio obiettivo. La clonazione segue la stessa procedura, ma è un qualcosa di diverso rispetto alla domanda da cui sono partito».
Impossibile, a questo punto, non parlare della possibilità di clonare un essere umano. «Credo che alla fine riusciremo a fare qualunque cosa – commenta il Premio Nobel – ma non penso che vorremo. Ci sono ottime ragioni per non farlo. Quella che viene chiamata clonazione riproduttiva non serve a nulla negli uomini, non avrebbe alcun vantaggio».
Il punto di vista di Sir Gurdon è, ovviamente, scientifico; ma quando si affrontano temi di questo tipo il dibattito etico è inevitabile. Dilemmi e problemi che il Nobel ritiene «inutili» e «senza valore»: «È solo una questione di percezione dell’opinione pubblica, che deve essere cambiata. Non capisco proprio – conclude Sir John Gurdon – cosa si intenda per problemi etici». Si alza, ci ringrazia, ci saluta e torna nella sua stanza d’albergo: «Devo controllare che la mia presentazione per la lectio magistralis sia scritta correttamente in inglese. Non vorrei fare figuracce».