«Abbiamo scelto questa definizione inclusiva perchè voleva dire comprendere tutti, medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, civili e militari impegnati nella prevenzione e nella cura del Covid» spiega il Presidente delle Fondazione Marzio Dallagiovanna
Assegnare il prossimo Premio Nobel per la Pace al Corpo sanitario italiano. Sembra un’utopia, eppure è quello a cui sta lavorando a Piacenza la Fondazione Gorbachev che da oltre 20 anni si occupa di iniziative umanitarie in favore della pace.
Cuore di questo progetto è la città di Piacenza che durante la prima ondata di Covid è stata uno degli epicentri dell’epidemia. Ma Piacenza è anche sede della Fondazione Gorbachev e del Segretariato Permanente dei Premi Nobel per la Pace ed è definita Città Mondiale dei Costruttori di Pace in virtù di un accordo di promozione della cultura e dell’arte. E chissà che il Comitato del Nobel non si convinca della bontà dell’idea.
La Fondazione presieduta da Marzio Dallagiovanna sostiene con convinzione l’idea del riconoscimento mondiale ai medici e al personale sanitario italiani che hanno affrontato l’emergenza della pandemia in condizioni spesso drammatiche e proibitive. Testimonial dell’iniziativa è l’ematologo-oncologo Luigi Cavanna, proponente firmatario della candidatura è il professor Mauro Paladini. Tra i sostenitori dell’iniziativa anche Lisa Clark, co-presidente dell’International Peace Bureau, organizzazione umanitaria premiata con il Nobel per la Pace nel 1910, e rappresentante italiana di Ican-Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, iniziativa che ha ricevuto il Nobel per la Pace 2017.
«Mi sembrava che non ci fosse quest’anno una candidatura migliore che quella del corpo sanitario italiano. Abbiamo scelto questa definizione inclusiva perché voleva dire comprendere tutti: medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, civili e militari impegnati nella prevenzione e nella cura del Covid. Tutti hanno dimostrato impegno e sacrificio massimo», spiega a Sanità Informazione il Presidente della Fondazione Gorbachev Dallagiovanna.
Ma perché proprio il Corpo sanitario italiano? Il perché lo spiega l’oncologo Cavanna. «Il Covid nasce in Cina a Wuhan a dicembre 2019. Sembrava qualcosa di limitato in quella regione. Poi all’improvviso il 21 febbraio il primo paziente segnalato in Occidente è in Italia. Segnatamente nella zona del basso lodigiano e del piacentino che è stata investita per prima. Sembrava qualcosa di travolgente. Eravamo quasi dei soldati al fronte con un’onda che ti portava via. Con il riconoscimento vogliamo onorare il sacrificio di chi non c’è più e di chi è sopravvissuto, di chi era in prima linea e di chi era nelle retrovie».
La scelta dell’oncologo Cavanna come testimonial non è casuale: nei mesi del lockdown Cavanna è stato tra i più importanti fautori delle cure domiciliari. Armato di tuta e dispositivi di protezione è andato casa per casa a fare diagnosi e a portare cure. Le foto del suo impegno al fianco dei malati hanno fatto il giro del mondo, come dimostra la copertina della prestigiosa rivista Time.
Tante le istituzioni che hanno dato il loro sostegno alla causa, ma la strada che porterà all’assegnazione del Nobel (la cerimonia avviene ogni anno il 10 dicembre) è ancora lunga.
«Abbiamo avuto subito l’adesione delle istituzioni locali, comune di Piacenza, provincia, Regione Emilia Romagna, l’Associazione nazionale Alpini, l’Istituto nazionale Tumori Milano, l’ACLI, Banca di Piacenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano – racconta Dallagiovanna -. Abbiamo avuto anche l’adesione di alcuni premi Nobel che ci hanno sostenuto come Lisa Clark. Attendiamo ancora molte altre adesioni. Porteremo avanti questa campagna sino alla fine dell’anno. Vogliamo che questo movimento che abbiamo creato si ingrandisca sempre di più. Abbiamo lanciato una piccola palla di neve dalla cima della montagna, il 10 dicembre vorremmo che fosse una grande sfera che raccolga più adesioni possibili».
«L’atto medico, l’atto di cura non è solo un intervento tecnico per ‘riparare’ un organo malato, ma in primis un gesto di vicinanza, un messaggio di umana solidarietà, di aiuto reciproco. In quell’atto di cura c’è qualcosa di molto più importante. Sarebbe importante trasferire fuori, nella società, lo spirito di quel gesto», spiega Cavanna che cita una frase posta nella prefazione del testo “Harrison. Principi di medicina interna”: «C’è scritto “Il medico deve avere lo stesso rispetto e attenzione per l’eroe stoico come per il vagabondo lamentoso”. Un concetto forte. Lo spirito del corpo sanitario, se riuscissimo a trasferirlo nella società, potrebbe migliorare i rapporti tra gli uomini e le donne al di fuori dei luoghi di cura».
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