Il New England Journal of Medicine: «Fin dal 19mo secolo le misure di salute pubblica sono state mal ricevute dalla popolazione»
Hanno superato quota 900 mila i decessi nel mondo a causa del coronavirus. L’epidemia da Covid-19 si prepara ad accompagnarci nel primo autunno della sua storia sul pianeta. Le perplessità sono ancora tantissime, i problemi si moltiplicano e la riapertura delle scuole pone una serie di questioni da risolvere: come sarà possibile tenere sotto controllo la diffusione dell’epidemia?
Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul contact tracing risalgono all’ultimo maggio e in Italia l’app di tracciamento tecnologico Immuni fa ancora fatica a diventare uno strumento diffuso e apprezzato dalla popolazione. La storia ci racconta, ed è un paper del New England Journal of Medicine a sottolinearlo, che in realtà sono proprio le politiche e i protocolli di contact tracing ad essere complicate e tutt’altro che di agevole applicazione.
«Nel tardo 19mo secolo», spiega l’autorevole pubblicazione medica, «quando la batteriologia era ancora una nuova scienza, un ampio numero di ispettori sanitari venne approntato sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. In quei giorni proprio la Gran Bretagna era riconosciuta come paese leader nella creazione di un sistema di notificazione, isolamento, disinfezione e tracing di casi di malattie infettive».
I documenti parlamentari raccontano di come oltre 1400 ispettori sanitari furono sguinzagliati in Inghilterra e nel Galles dopo un restrittivo processo di selezione basato su quattro materie: aspetti legali della salute pubblica; fisica e chimica; statistica di base; pratiche comuni di igiene municipale. Erano gli anni del vaiolo e gli ispettori sanitari erano autorizzati a «vaccinare i casi sospetti con forza autoritativa» sul posto.
A partire dal 1890 in Scozia «poteri autoritativi vennero concessi per lo stabilimento di punti di raduno» destinati a sudditi che fossero venuti in contatto con malattie infettive, specie in alloggi popolari e sovraffollati. «Costoro – spiega il NEJM – venivano lavati, rivestiti e vaccinati se necessario. Ai pazienti veniva offerto alloggio e vitto e anche se gli veniva permesso di continuare a lavorare, dovevano rimanere nei punti di raduno per almeno 14 giorni e venivano liberati solo in caso fossero manifestamente puliti da infezioni». Una caratteristica sorprendentemente attuale mentre si discute della possibilità di abbassare a 7 giorni il periodo di quarantena per il SARS–CoV–2.
Si può anche notare che certe dinamiche che oggi definiremmo «negazioniste» abbiano messo radici in tutte le epoche. «I pubblici ufficiali raccontavano che i contagiati più ostinati venivano minacciati di venir chiusi in casa o accusati di diffusione dell’infezione. Molti contagiati sapevano bene che la persuasione gentile era solo un preludio a misure più drastiche: se la persuasione falliva a convincere i contagiati, il denaro di solito era sufficiente», nel senso che i potenziali contagiati venivano foraggiati per quaranta o cinquanta sterline, a patto che rimanessero in casa. Un ammontare che «ha fatto risparmiare al contribuente centinaia di sterline in cure ospedaliere».
«Questi esempi – conclude il NEJM – mostrano come gli sforzi per persuadere le persone durante la pandemia da Covid-19 abbiano dei limiti. Come d’altronde nella Glasgow del 20mo secolo, le persone privilegiate e ricche avevano più facilità a rimanere in quarantena. Nonostante la prospettiva di costringere persone vulnerabili, che hanno ben poche ragioni per fidarsi del governo, dipenda sempre su quanto si insista sull’interesse pubblico, sembra anche chiaro che le strategie che riconoscono quali siano i costi reali del conformarsi alle misure di salute pubblica – come la quarantena – hanno più probabilità di riuscire».
Insomma, mentre ci si avvia verso l’autunno, il New England Journal of Medicine segnala che sapranno fare la differenza «l’accesso al welfare, l’accesso al cibo e ad altri mezzi di supporto». Non solo: «Recenti esperienze di austerità suggeriscono che anche questo approccio possa risolversi in un “troppo poco, troppo tardi”. Un’altra tacca sul conto dei disinvestimenti in salute e servizi sociali».
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