Partendo da un valore della spesa sanitaria pubblica pari a 131,3 miliardi di euro (dato dalla spesa sanitaria pubblica del 2022, 131,1 miliardi di euro – pari al 6,7% del PIL –più una quota aggiuntiva che include la ricerca e sviluppo) il valore della produzione interna diretta, indiretta e dell’indotto ad essa ascrivibile è stimata pari a 242 miliardi di euro.
Puntare sul Servizio sanitario nazionale conviene. E non solo nel senso che fa bene alla salute delle persone: è un investimento redditizio per l’azienda Italia. Ogni euro di risorse pubbliche investito in sanità ne genera, infatti, quasi due di produzione in valore. Non solo: se l’investimento pro-capite di risorse fosse pari a quello della Germania, si creerebbero 2 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro, e non limitatamente al settore.
A dimostrarlo, il Rapporto FNOMCeO-Censis “Il valore economico e sociale del Servizio Sanitario Nazionale – Una Piattaforma fondamentale per il Paese”, che ha studiato gli impatti economici e occupazionali – diretti, indiretti e indotti – della spesa sanitaria pubblica.
Il Rapporto è stato presentato a Roma da Francesco Maietta, responsabile area Consumer, mercati privati e istituzioni del Censis nell’ambito del convegno “Valore salute: SSN, volano di progresso del paese”, voluto dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, la FNOMCeO, appunto, per celebrare “i 45 anni del Servizio Sanitario Nazionale, un’eccellenza italiana”. A introdurre la presentazione, il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita.
E che il Servizio sanitario nazionale sia davvero un’eccellenza lo dimostrano i dati: l’Italia è uno dei paesi più longevi al mondo e, anche, quello con una più alta aspettativa di vita senza disabilità. Infatti, l’Italia si colloca al terzo posto della graduatoria Ue per speranza di vita con 82,7 anni dopo Spagna (83,3) e Svezia (83,1); ed è al terzo posto della graduatoria della speranza di vita in buona salute dove registra un valore dell’indicatore pari a 68,1, inferiore solo a quello di Malta (68,7) e Svezia (68,4).
“È evidente che la qualità del Servizio sanitario – spiega il Presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli – nel lungo periodo, non è estranea al fatto che l’Italia sia un caso di studio per allungamento della speranza di vita e per diffusione della longevità attiva, vale a dire per la diffusione di positive esperienze esistenziali individuali di terza e quarta età, fatte di buona salute e coinvolgimento sociale”.
Ma il Servizio sanitario nazionale è molto più che un erogatore di servizi e prestazioni sanitarie, comunque indispensabili al benessere e alla qualità della vita degli italiani.
“È un attore primario – aggiunge Anelli – dello sviluppo italiano: le risorse pubbliche destinate alla sanità vanno considerate come investimento e non come spesa, proprio perché hanno un impatto altamente positivo sul piano economico, occupazionale, della innovazione e ricerca e sulla coesione sociale”.
“Il Rapporto del Censis – conclude – disegna un affresco originale del Servizio sanitario come pilastro dello sviluppo dell’economia e della società italiana, poiché è un ambito in cui le risorse pubbliche operano come investimenti ad alto impatto su economia, occupazione, ricerca e coesione sociale. Pertanto, la spesa sanitaria pubblica emerge senza ambiguità come investimento sociale sia sulla salute degli italiani che sull’insieme dell’infrastruttura socioeconomica del nostro paese. A questo stadio, è vitale dare corso a quella sorta di promessa maturata nei periodi peggiori dell’emergenza secondo la quale la sanità sarebbe diventata una priorità dell’agenda del paese con finalmente la piena disponibilità delle risorse di cui necessita. Oggi questa è la sfida decisiva, anche perché più risorse pubbliche al Servizio sanitario significa più risorse per il sistema economico e sociale italiano ampiamente inteso”.
La quantificazione dell’impatto della spesa sanitaria pubblica sul valore della produzione è stata effettuata ricorrendo a un modello di valutazione fondato sull’analisi dell’interdipendenze settoriali, le tavole input-output di Leontief, determinando il valore economico creato per ciascun euro di spesa pubblica investito nel Servizio sanitario.
Ma vediamo, nel dettaglio, i principali risultati.
L’impatto economico e fiscale: valore creato e settori coinvolti
Il Servizio Sanitario nazionale è un boost per l’economia. Partendo da un valore della spesa sanitaria pubblica pari a 131,3 miliardi di euro (dato dalla spesa sanitaria pubblica del 2022, 131,1 miliardi di euro – pari al 6,7% del PIL –più una quota aggiuntiva che include la ricerca e sviluppo) il valore della produzione interna diretta, indiretta e dell’indotto ad essa ascrivibile è stimata pari a 242 miliardi di euro. Il moltiplicatore della transizione dalla spesa al valore della produzione è pari a 1,84: per ogni euro di spesa sanitaria pubblica investito nel Servizio sanitario viene generato un valore della produzione non distante dal doppio.
“La domanda di beni e servizi attivata dalla spesa sanitaria pubblica – spiega il presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli – si irradia nel resto dell’economia, ampliando il valore della produzione delle imprese, con benefici significativi sull’occupazione, sul valore aggiunto e sul Pil nazionale”.
Il valore aggiunto complessivo creato è pari a 127 miliardi di euro: il 7,3% del valore aggiunto totale e il 6,5% del Pil.
I settori che direttamente e indirettamente beneficiano della spinta della spesa sanitaria pubblica sono le attività dei servizi sanitari, per un valore della produzione pari a 126 miliardi di euro con quasi 1,3 milioni di occupati, il settore dell’assistenza sociale con 8,6 miliardi di valore di produzione e un’occupazione di 180 mila persone, il commercio al dettaglio e all’ingrosso, con quasi 9 miliardi di valore di produzione e oltre 95 mila occupati. E poi settori professionali e di servizi qualificati di tipo amministrativo, legale, contabile, di consulenza gestionale con un valore della produzione di oltre 3 miliardi di euro per oltre 30 mila addetti, e quello relativo a servizi di vigilanza e di facility management con 3 miliardi di euro di valore della produzione e quasi 43 mila occupati.
La generatività della spesa sanitaria pubblica si completa considerando che il totale delle imposte dirette e indirette e dei contributi sociali ascrivibili al circuito attivato dalla spesa sanitaria pubblica citata è pari ad oltre 50 miliardi di euro. Si tratta di oltre 28 miliardi di imposte dirette e indirette e quasi 22 miliardi di contributi sociali relativi ai lavoratori dipendenti coinvolti.
La spinta alla buona occupazione: sino a 2,5 milioni di posti di lavoro in più, investendo come in Germania
Da 1,5 milioni a, addirittura, 2,5 milioni di occupati in più, nei settori più strettamente legati alla sanità sino a quelli che invece beneficerebbero degli effetti indiretti e anche indotti. Ecco i benefici occupazionali stimati, ma molto realistici, che sarebbero associati ad un investimento pubblico più alto nella sanità italiana.
Gli occupati interni diretti, indiretti e indotti afferenti al meccanismo cumulativo innescato dalla spesa sanitaria pubblica sono stimati complessivamente in 2,2 milioni di persone, pari all’8,7% degli occupati totali. La creazione di occupazione, quindi, va ben oltre il Servizio sanitario, che comunque è uno dei più importanti datori del lavoro del paese con 670 mila addetti a cui aggiungere oltre 57 mila medici di medicina generale, titolari di guardie mediche e pediatri di libera scelta.
Incrementare la spesa sanitaria pubblica vuol dire espandere l’occupazione: infatti, se la spesa sanitaria pubblica pro capite italiana, pari a 2.226 euro, salisse al valore di quella francese di 3.739 euro (spesa complessiva pari al 10,1% del Pil francese), a parità di potere d’acquisto, la spesa pubblica sanitaria totale italiana crescerebbe di 89 miliardi di euro diventando pari al 10,9% del Pil italiano, con un incremento del totale occupati diretti, indiretti e indotti di 1,5 milioni di unità, per un totale di 3,8 milioni. Nell’ipotesi di un adeguamento della spesa sanitaria pubblica pro capite italiana al valore di quella tedesca, che è pari a 4.702 euro a parità di potere d’acquisto (il totale incide sul Pil tedesco per il 10,9%), la spesa sanitaria pubblica totale del nostro paese sarebbe superiore di 146 miliardi e pari al 13,3% del Pil, mentre il totale degli occupati diretti, indiretti e indotti sarebbe di 4,7 milioni, cioè 2,5 milioni di occupati in più.
“Quello all’interno del Servizio sanitario nazionale – commenta il ‘Presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli – è, per sua natura, un lavoro di qualità, motivante, motivante, potenzialmente pregno di senso in una fase storica segnata invece da una visibile crisi della cultura e dell’identità legata al lavoro. Per questo è importante investire sui professionisti, per rendere attrattivo il Servizio sanitario nazionale”.
“C’è poi quella parte di occupazione – conclude – che viene stimolata tramite un meccanismo per cui la spesa sanitaria pubblica genera una domanda che consente a imprese di settori via via più distanti di espandere la produzione e, in parallelo, l’occupazione”.
Potenziare la ricerca per fare di più e meglio
Ma anche con le nuove tecnologie il medico resti centrale
Lo stanziamento di spesa pubblica per ricerca e sviluppo per protezione e promozione della salute umana è in Italia pari a circa il 12,7% del totale della spesa pubblica stanziata per ricerca e sviluppo: tale dato colloca il nostro paese al quinto posto della graduatoria dell’Unione Europea per valore pro capite a parità di prezzi d’acquisto. In totale, lo stanziamento di spesa pubblica italiana per ricerca e sviluppo per protezione e promozione della salute umana è pari a 1,6 miliardi di euro.
Il Servizio sanitario nazionale è il primo committente delle attività di ricerca in sanità.
Lo stanziamento attuale è il portato di un decennio di evoluzione della spesa che ha registrato nel periodo 2012-2019 una crescita del 5,2% e nel 2019-2022 un rialzo del 49%. L’esito per l’intero periodo 2012-2022 è un incremento di oltre il 56%.
Buoni gli indicatori di performance: l’Italia si colloca al secondo posto della graduatoria europea e al sesto di quella mondiale per numero di pubblicazioni relative all’area tematica della medicina nelle riviste scientifiche.
“Potenziare la capacità di finanziare direttamente progetti di ricerca – commenta il presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli – e quella di utilizzare i ritrovati amplierebbe lo spettro di opportunità per l’intero ecosistema, con un boost certo sugli esiti”.
La social acceptance del valore per la sanità della ricerca e delle innovazioni tecnologiche, incluse quelle digitali fondate sul massiccio utilizzo di dati personali, non è tuttavia priva di taluni timori.
Infatti, al di là delle pulsioni irrazionali e antiscientifiche, è comunque presente nell’opinione pubblica la preoccupazione che si impongano relazioni impersonali, con relativa perdita di riferimenti umani e caldi nei processi di cura. In realtà, emerge l’opposizione di principio degli italiani ad un’idea di sanità che, alla fin fine, vorrebbe marginalizzare o addirittura escludere il medico dai processi decisionali sulla cura e la tutela della salute.
Nella cultura sociale collettiva degli italiani prevale la convinzione che al centro dei processi di cura, responsabile delle decisioni essenziali è e deve restare il medico. Non c’è tecnologia o algoritmo che possa sostituire, ad oggi, la figura e la relazionalità con il medico.
“Ogni processo di innovazione, ogni ritrovato terapeutico – aggiunge ancora Anelli – deve entrare nella sanità in conformità all’esercizio del ruolo di riferimento decisionale del medico. La fiducia sociale ampia di cui beneficiano i medici, quindi, è il viatico per rendere socialmente accettabili su larga scala nuove terapie e innovazioni tecnologiche”.
Il Servizio sanitario nazionale: elemento di coesione sociale
I benefici sono distribuiti in modo diffuso nel paese
Malgrado le tante disparità territoriali da sempre sottolineate, la spesa sanitaria pubblica pro-capite è superiore a 2.000 euro in tutte le regioni. Oltre 1,3 miliardi le prestazioni di prevenzione e cura erogate in un anno, 29 mila le strutture pubbliche e private accreditate, per un totale di 236 mila posti letto. Sono numeri che raccontano di un’attività diffusa che materializza la sensazione sociale che, in caso di bisogno sanitario, esiste una tutela accessibile e di qualità a cui si ha diritto.
Inoltre, una figura presidio chiave che beneficia di alta fiducia e buona social reputation come il Medico di medicina generale, nonostante le attuali problematiche di shortage, conta ancora 40 mila professionisti diffusi nei territori, con una media di 1.300 adulti residenti per medico di medicina generale. Il campo di oscillazione regionale per Medico di medicina generale varia tra 1.514 adulti in Lombardia e 1.063 adulti in Umbria.
“La spesa sanitaria pubblica – commenta il Presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli – è un investimento economico i cui effetti si dispiegano su tutti i territori del nostro paese, e pertanto le sue risorse possono essere considerate ad alto impatto economico e occupazionale, con in più il pregio di distribuire i benefici in modo diffuso nei territori”.
“Il valore sociale del Servizio sanitario – aggiunge – richiama ulteriori contributi rilevanti, come quello alla coesione sociale sui territori. Ciò avviene certamente tramite l’erogazione di servizi sanitari che sono fondamentali per il benessere delle persone e la qualità della vita in ambito locale, ma anche perché è una piattaforma decisiva per l’occupazione locale, di cui rappresenta una componente significativa, che ovviamente è opportuno e utile espandere”.
“Il Servizio sanitario, infine – conclude – contribuisce a tenere insieme la società anche perché esercita una funzione di rassicurazione delle persone di ogni ceto sociale, facendole sentire con le spalle coperte in caso di insorgenza di patologie”.