Ben 96 anni di vita attiva e 70 anni di regno: la Regina Elisabetta II lascia in eredità un esempio di longevità, lucidità e resilienza
Si è spenta lentamente, ma fino all’ultimo con la mente lucida. Nonostante gli inevitabili acciacchi dovuti alla sua età, 96 anni, fonti vicine a Elisabetta II e alla famiglia reale britannica hanno riferito che la regina è stata sempre «presente a sé». Quasi un secolo di vita e la sua mente non ha perso un colpo. «Un vero e proprio esempio di longevità sana», commenta Francesco Landi, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG).
Era da un anno che Elisabetta appariva più fragile, anche se a marzo era riuscita a superare il Covid. Salita sul trono ben 70 anni fa, ha fatto il suo dovere fino all’ultimo. Due giorni prima della sua morte, la sovrana ha nominato premier Liz Truss al castello di Balmoral, dove è deceduta. Ed Elisabetta è stata fotografata in quest’occasione in piedi e sorridente, anche se fragile ed appoggiata ad un bastone, mentre stringeva la mano a Truss, 15esimo primo ministro della sua lunga carriera di sovrana. Ai primi di giugno, Elisabetta II ha partecipato brevemente ad alcuni eventi del Giubileo di platino, senza farsi mancare il saluto dal balcone di Buckingham palace.
«La Regina Elisabetta rappresenta la migliore testimonianza di forza e resilienza in età avanzata, cioè della capacità di adattamento e superamento delle avversità che possono duramente colpire la vita di chiunque», evidenzia Landi. «La vita di Elisabetta II è stata attraversata da crisi, difficoltà e veri e propri scandali, che ha saputo affrontare dando sempre prova di solidità e fermezza», aggiunge. Non dimentichiamo infatti che Elisabetta II ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda, il terrorismo e ha avuto tragiche e dure esperienze personali.
«Grazie al benessere e ai progressi della medicina, al miglioramento complessivo della qualità di vita – aggiunge Landi – sempre più spesso anziani ben oltre gli ottanta anni, sono presenti nel circuito della socialità, della cultura e anche della politica. Non si tratta di gerontocrazia al potere ma della dimostrazione che le persone anche molto anziane sono una risorsa ideale e pratica del cui valore oggi non ci si rende davvero conto. Nella sua longevità, con la sua storia politica e personale, Elisabetta II ci fa capire pienamente come avere una vita attiva può consentire una vecchiaia, non solo in salute ma anche di successo».
«Certamente i suoi compiti istituzionali costituivano un esercizio intellettuale benefico per il cervello», spiega Landi. «Spesso il declino mentale delle persone anziane – continua – è fortemente favorito dalla solitudine e dalla sensazione di non servire più, di essere diventate inutili. Elisabetta II si sentiva amata, non era mai sola. L’adempimento dei suoi doveri nei confronti dei sudditi e del regno era quotidiano, e non c’è nulla di meglio per tenere lontano lo spettro della depressione, una minaccia costante per chi, dopo una certa età, viene messo da parte. E oggi si sa che la depressione non di rado è l’anticamera dell’Alzheimer. Lo stress davvero nocivo per il cervello non deriva dall’impegno mentale quanto piuttosto dall’isolamento sociale, dalla perdita del ruolo che si aveva prima di invecchiare».
La genetica ha probabilmente fatto la sua parte. Non dimentichiamo che la mamma della regina Elisabetta II è morta da ultracentenaria. Infine, la regina aveva un altro asso nella manica: il senso dell’umorismo. «Quest’ultimo denota la capacità di affrontare la vita con una certa leggerezza, e l’altrettanto importante abilità di scovare in qualunque circostanza almeno un aspetto per cui sorridere», dice Landi. «Questo aiuta la resilienza, che è la capacità di non soccombere quando la vita mette di fronte a prove molto dure», aggiunge. Esempio di longevità, lucidità e resilienza: questa è l’eredità che ci lascia Sua Maestà.
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