L’ex Senatore, presidente Fnomceo e relatore della Legge 24 insieme a Federico Gelli, sottolinea: «I medici hanno capito che è stato fatto uno sforzo importante. Ma non abbiamo mai celebrato questa legge come la panacea di tutti i mali, alcuni problemi esistono ancora, bisognerà lavorarci molto»
È stata una legge molto attesa dalla categoria, la 24 del 2017 che ha regolato il rischio professionale in sanità. Ma, a più di un anno dall’entrata in vigore, mancano ancora alcuni decreti attuativi che nei fatti rischiano di menomarne la funzionalità. Un rischio che hanno ben presente i relatori di quella legge, l’ex responsabile sanità del Pd Federico Gelli e l’ex senatore Amedeo Bianco, da sempre in prima linea su questo tema. Fra gli obiettivi della legge quello di ridurre il contenzioso, civile e penale, avente ad oggetto la responsabilità medica e al tempo stesso garantire un più efficace sistema risarcitorio nei confronti del paziente. «Manca il decreto che definisce i requisiti minimi delle polizze assicurative che sappiamo essere un tema delicatissimo – sottolinea Bianco, che Sanità Informazione ha incontrato a un evento della SIMEDET, Società Italiana Medicina Diagnostica e Terapeutica – Siamo oltre il termine previsto dalla legge che era un termine prescrittivo e non ordinatorio. Un passaggio importante anche dal punto di vista pratico perché definisce le tariffe, le modalità di copertura, l’individuazione delle fasce di rischio».
Senatore, è passato un po’ di tempo dalla promulgazione di una legge che ha provato a rivoluzionare questo ambito…
«Com’è noto ha portato molti cambiamenti. Certamente alcuni di questi cambiamenti devono entrare nella pratica corrente attraverso l’emanazione di decreti. Tutta la parte che riguarda il grande tema delle linee guida, dei soggetti accreditatori e accreditanti, delle procedure e delle modalità che riguardano le linee guida è una parte che è stata impostata e che adesso deve cominciare a funzionare. Mancano alcuni decreti importanti, manca il decreto che definisce i requisiti minimi delle polizze assicurative che sappiamo essere un tema delicatissimo. Siamo oltre il termine previsto dalla legge che era un termine prescrittivo e non ordinatorio. Un passaggio importante anche dal punto di vista pratico perché definisce le tariffe, le modalità di copertura, l’individuazione delle fasce di rischio. Sono aspetti di fatto molto sensibili per le aziende sanitarie».
I medici come hanno accolto questa rivoluzione?
«Come può immaginare ho girato molto, sia in fase pre-emanazione, sia in fase post. Ho cercato di spiegare le direttrici sulle quali si era mossa questa azione riformatrice e devo dire che i medici hanno certamente compreso lo sforzo di innovazione, lo sforzo di riallocare gli aspetti connessi alla responsabilità per eventi indesiderati nelle cure sanitarie, spostarli il più possibile per quanto legittimamente dalla responsabilità del singolo alla responsabilità del sistema che è quello effettivamente più chiamato in causa, facendo diventare tutto il tema della sicurezza un tema cui non solo si devono far carico i singoli professionisti, ma anche e soprattutto la struttura. Hanno capito lo sforzo di intervenire sia nella disciplina penale che nella disciplina civilistica della responsabilità: più chiara, più netta quella civile, ancora controversa la responsabilità penale. Sappiamo essere una materia molto molto combattuta dal punto di vista della dottrina giuridica, dal punto di vista dell’esercizio del diritto, cioè della magistratura e perfino dal punto di vista costituzionale laddove naturalmente il principio di uguaglianza è un principio che sovrasta tutti gli sforzi di disegnare profili di responsabilità penale un po’ differenti. In buona sostanza credo che i medici abbiano capito che è stato fatto uno sforzo importante. Noi stessi non abbiamo mai celebrato questa legge come la panacea di tutti i mali, alcuni problemi esistono ancora, bisognerà lavorarci molto, come molto dipende dai decreti attuativi. Hanno capito questo sforzo, credo anche che l’abbiano apprezzato sapendo che, su questa strada che è stata aperta, bisogna ancora camminare».