Anche la politica con i medici. Dalla Lombardia il consigliere leghista Rizzi: «Si faccia emergere il problema, bisogna fermare i reparti…». Il collega umbro del M5S Liberati: «Situazione caotica con elementi tragicomici». Ordine del giorno al Senato di D’Ambrosio Lettieri sui ricorsi
Bisogna fermare i reparti e, se serve, anche gli ospedali. Facciamo emergere il problema» la soluzione proposta dalla Lega Nord in Lombardia è forse la più drastica. Ma segnala il preoccupante stallo tra Governo, Regioni e Direzioni Sanitarie sul tema dei nuovi orari dei medici previsti dalla Legge 161/2014. Diversi esponenti politici danno battaglia e appoggiano i ricorsi presentati dai medici.
A partire dal senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri (Conservatori e Riformisti), già primo firmatario di una interrogazione orale al ministro Beatrice Lorenzin, ed ora di nuovo alla carica con un Ordine del Giorno in cui ha espresso una «netta contrarietà ad eventuali deroghe» ed ha poi messo in guardia il Governo sui ricorsi già avviati e «quelli – ha aggiunto – a cui a giusto diritto, si preparerebbero i medici e che potrebbe portare a risarcimenti di diversi miliardi di euro su una stima di 106 mila dipendenti del servizio sanitario nazionale».
Come accennato, sul problema è già forte l’attenzione delle Regioni. In molte si sono tutelate da tempo con circolari alle Asl alle quali si “prescrive” il rispetto della direttiva europea 2003/88 e dunque orari settimanali di non oltre 48 ore (comprensive di straordinari), con riposi minimi di 11 ore tra un turno e l’altro. Anche nelle regioni più virtuose, come ad esempio la Lombardia, però, i medici continuano a palesare perplessità e malessere. «A chi mi chiede come comportarsi – afferma Fabio Rizzi, consigliere regionale lombardo della Lega Nord – io continuo a ripetere: fate emergere il problema, perché non se ne può più, davanti a direttive europee sacrosante che vengono ignorate. D’altronde il bisogno di riposo del medico deve essere uguale a quello delle altre categorie professionali». Rizzi inquadra così il problema: «Tutto è legato alla carenza di personale. Nel 2011, il governo Monti ha agito con una spending review demenziale, con un blocco del turn over paradossale. Oggi siamo noi a pagarne il prezzo, trovandoci quasi a dover chiudere gli ospedali, non per rispondere ad una esigenza di razionalizzazione, ma perché sta venendo a mancare la risorsa fondamentale per tenerli in vita, cioè il medico». Ma i camici bianchi sono già passati all’azione, tutelandosi in sede legale attraverso i ricorsi che potrebbero costare allo Stato un conto salato. «E alla fine pagherà – ne è certo Rizzi – perché i ricorsi daranno certamente ragione a chi li ha fatti. Basta che ne venga rimborsato uno solo e partirà l’effetto domino. In questo momento sarebbe bene che i medici protestassero, non scioperando, ma rispettando effettivamente i turni. Così facendo emergerebbe finalmente il dimezzamento dell’attività, e magari la politica smetterà di mettere la testa sotto la sabbia».
Pensiero condiviso anche dal consigliere pentastellato della Regione Umbria, Andrea Liberati: «La politica – commenta l’esponente del Movimento Cinque Stelle – deve cambiare completamente approccio e rispettare la professione medica nella sua importanza e rilevanza, sotto ogni punto di vista. Il problema è che ci sono difficoltà di interlocuzione tra medici e ASL. Questo accade perché non c’è ascolto da parte della classe politica. Non a caso, tutto questo porta ad un regresso dei livelli essenziali di assistenza. Quindi c’è un problema anche di qualità del servizio offerto». La realtà sanitaria umbra raccontata da Liberati è, infatti, «caotica nonostante il M5S stia con il fiato sul collo a tutto l’apparato sanitario e in particolare alla direzione politica. Ci sono delle anomalie incredibili, ad esempio chi chiede una diagnosi a Terni e viene spedito a Foligno, e così via. Perché accade questo? Per tenere in vita strutture, per tenere in vita situazioni consolidatesi nel tempo ma che vanno completamente riviste e riorganizzate, mantenendo ovviamente i presidi sui vari territori ed evitando queste distonie. Ci sono poi situazioni altrettanto bislacche, degne di una riflessione e a volte, devo dire, di elementi tragicomici. E’ una situazione difficilissima a cui si aggiungono le liste di attesa e i costi legati alle diagnosi per cui tantissimi si rivolgono al privato».
In Lombardia, in Umbria, così come in tutte le regioni italiane, l’entrata in vigore della Legge 161 è vissuta come un incubo tra il diritto a turni più umani per tutti gli operatori sanitari ed il fisiologico rischio dell’allungamento dei tempi d’attesa che si ripercuoterà sui cittadini. Una situazione molto delicata che potrebbe costringere il governo a rivedere i suoi calcoli riguardo la Legge di Stabilità. Lo hanno anche chiesto i Capigruppo della Commissione Affari Sociali con una lettera bipartisan inviata al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Nel documento a firma di Donata Lenzi (Pd), Giovanni Monchiero (Scelta Civica), Raffaele Calabrò (Ncd), Benedetto Fucci (Forza Italia), Marco Rondini (Lega Nord) e Marisa Nicchi (Sel) si esprime «preoccupazione per l’applicazione nel settore della sanità delle nuove norme in materia di orari di lavoro. Al momento non abbiamo un quadro completo dell’impatto di queste norme sui servizi, ma è evidente che un settore sottoposto a vincoli finanziari relativi al costo del personale non è in grado di garantire tutti i servizi assistenziali rimasti aperti fino adesso grazie alla norma che consentiva di derogare rispetto ai nuovi orari».