Il ministro della Salute: «Il commissariamento non è la strada giusta per le Regioni in difficoltà coi Lea. Necessario un tavolo tra Stato, Regioni e lavoratori del Ssn». L’ex ministro Bindi: «Stop all’autonomia differenziata, sì a un piano nazionale per frenare le disuguaglianze»
‘La salute non è una merce ma un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’. Questo il titolo nonchè il leit motiv dell’incontro di sabato scorso tra sindacati e istituzioni durante le Giornate Nazionali dei Servizi Pubblici organizzate a Napoli, in Piazza del Plebiscito, nell’ambito dell’annuale iniziativa promossa dalla Funzione Pubblica Cgil Nazionale. L’appuntamento, aperto al pubblico, ha ribadito la necessità di una convergenza tra tutte le forze politiche e tutti gli attori in gioco per scrivere una nuova pagina della Sanità pubblica italiana, che deve tornare al centro dell’agenda di governo per il prossimo futuro. Tra le priorità: ridurre al minimo il gap in materia di finanziamento tra le Regioni del Nord e quelle del Sud, colmare le lacune di personale attraverso una programmazione che tenga conto delle reali esigenze di salute del territorio, investire sulla formazione e su tutti quei fattori che possano costituire un incentivo sia per il personale sanitario a restare in Italia, sia per cittadini a farsi curare nel nostro Paese.
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«La Sanità pubblica è la cartina al tornasole delle disuguaglianze ancora tristemente presenti in Italia» afferma Rosy Bindi, ministro della Sanità dal ’96 al 2000, primo ospite a prendere la parola sul palco. «Da troppi anni – continua – assistiamo a sprechi, disfunzioni, malasanità. La Sanità deve chiedere oggi finanziamenti adeguati legati alla fiscalità generale per fermare l’inizio di un finanziamento legato al secondo pilastro, che sta dando vita ad assicurazioni, a fondi sostitutivi e che sta creando per le Regioni del Sud una sperequazione inaccettabile». Poi la stoccata: «Non è vero che i fondi assicurativi non costano nulla: costano di detrazioni fiscali e costano quasi quanto costa la quota capitaria di ognuno di noi. E lo dico a un sindacato: guai a pensare che attraverso un fondo integrativo iscritto nel rinnovo del contratto si può far fronte ai problemi dell’accesso al servizio sanitario, perché sarebbe questo il vero tradimento della Costituzione, significherebbe tornare alle mutue, in cui ciascuno di noi torna ad essere nel servizio sanitario non un individuo, ma un lavoratore. E ci sarà sempre un lavoratore che può avere più diritti di un altro, o qualcuno che toglie diritti a un altro». L’ex ministro si espone poi sulla questione dei fondi per la sanità: «Il problema del finanziamento va affrontato in maniera universalistica. E per affrontare la questione meridionale non possiamo chiudere gli occhi davanti alla grande disuguaglianza di servizi alla persona. Guai poi a pensare a un’autonomia regionale differenziata: ricordiamo che i grandi Paesi federali sono quelli in cui la guida del governo centrale è molto forte. Se vogliamo prendere sul serio la sanità nelle Regioni del Sud – conclude – è assolutamente indispensabile un piano nazionale, che non tolga l’autonomia, ma anzi la restituisca in maniera piena non soltanto con i Piani di rientro ma con investimenti per assicurare i Livelli essenziali di assistenza in ogni angolo di questo Paese».
«Le Regioni hanno una enorme difficoltà di personale. È un grido di dolore che io come Ministro non posso non ascoltare». A parlare è quindi Roberto Speranza, attuale ministro della Salute. «Dobbiamo sederci al tavolo non solo con Stato e Regioni – dichiara Speranza – ma anche con chi lavora nella Sanità. Nel Ssn lavorano 650mila persone guidate da una passione straordinaria ma che sul posto di lavoro vivono condizioni di disagio e difficoltà, che spesso subiscono aggressioni e violenze e su questo dobbiamo iniziare a lavorare concretamente. Dobbiamo ridefinire – continua – in un tempo congruo all’interno di una nuova stagione di investimenti gli strumenti del settore Sanità». E sui Piani di rientro: «C’è sicuramente necessità di accelerare, valutando serenamente e aprendo una discussione per poter superare il modello esistente, perché questa modalità non è stata in grado di portare i risultati sperati. Se prendiamo ad esempio la regione Calabria, e io vedo che sui Lea siamo ben 30 punti sotto la soglia dopo dieci anni in Piano di rientro, è evidente che bisogna costruire un modello più flessibile in cui il commissariamento della Regione diventa un’arma finale in casi estremi, altrimenti – conclude il Ministro – si useranno strumenti più puntuali per intervenire sui problemi reali, senza toccare tutto l’impianto».