Sanità 28 Luglio 2022 12:25

Sanità territoriale, Boldrini (Pd): «Case di Comunità argine ad affollamento Ps ma serve più personale»

La senatrice dem, capogruppo in commissione Sanità, vede decadere alcuni disegni di legge a sua prima firma come quello per l’introduzione dello psicologo delle cure primarie e il diritto all’oblio per i malati oncologici

La legislatura al capolinea dopo la caduta del governo Draghi impone alle forze politiche di fare un bilancio di questi quattro anni e mezzo di attività parlamentare. Per Paola Boldrini, capogruppo dem in commissione Igiene e Sanità, la priorità resta la riforma della sanità territoriale con la messa a regime di 1350 nuove Case di Comunità che dovranno rappresentare quell’argine all’affollamento dei Pronto soccorso, sempre più in difficoltà. Un processo che andrà accompagnato da un consistente aumento del personale: «Dobbiamo capire le motivazioni che portano molti professionisti della sanità a dare le dimissioni e a cambiare lavoro, aiutarli e aumentare il numero delle persone che entreranno nel Servizio sanitario nazionale» spiega la senatrice dem. Boldrini in questi anni al Senato si era molto impegnata per alcune riforme in ambito sanitario, come l’introduzione dello psicologo delle cure primarie e il diritto all’oblio per i malati oncologici, disegni di legge destinati però a decadere con lo scioglimento delle Camere.

Senatrice, nei prossimi mesi saranno attivate 1350 case di comunità. C’è il personale sufficiente per far lavorare le case di comunità?

«Stiamo vivendo un momento molto critico della sanità. I Pronto soccorso si stanno svuotando di personale ma sono pieni di pazienti che attendo ore. È un momento di stanchezza del personale perché dopo questi due anni, con la pandemia che non è ancora finita, il personale ha bisogno di avere un conforto non solo economico, ma anche dal punto di vista motivazionale. Il governo e chi ha appoggiato questi provvedimenti come noi ha visto che nelle Case di comunità si può trovare una risposta per evitare che il paziente arrivi in ospedale, attraverso servizi al domicilio ma anche nelle case di comunità. Dobbiamo capire le motivazioni che portano molti professionisti della sanità alle dimissioni e a cambiare lavoro e aumentare il numero delle persone che entreranno nel Servizio sanitario nazionale incrementando il numero degli accessi nelle scuole di specializzazioni. Dovremo far meglio anche nella formazione dei medici di medicina generale e degli infermieri che svolgono un ruolo importante nella gestione del territorio. Tutto questo significa avere anche più risorse: ne abbiamo messe tante per le strutture e ne dobbiamo mettere ancora di più per il personale. Bisogna andare ad individuare con gli osservatori quelle aree importanti dove mancano professionisti, come l’emergenza-urgenza. In Parlamento ci stavamo ragionando, il sistema dell’emergenza-urgenza dev’essere rivisitato: si festeggiano i trent’anni di quella riforma ma ora il sistema ha bisogno di una rivisitazione. Da questo punto di vista bisogna cercare di omogeneizzare quelle buone prassi che pure esistono. Dobbiamo tenere sotto controllo tutti gli alert che arrivano dalle professioni».

Parliamo dei Medici di medicina generale: sono il pilastro della sanità di base e si discute molto del loro inquadramento. La dipendenza può essere una soluzione?

«Potrebbe essere una soluzione, ma sicuramente non in questo momento. Ora siamo in una fase di transizione. Il ministro Speranza si sta occupando di poter garantire nelle case di comunità il lavoro dei MMG. È molto positivo: durante la pandemia i MMG hanno lavorati da soli, questo li ha sconfortati, non hanno potuto condividere informazione e servizi che potevano essere utili ma anche semplicemente richiedere esami. È importante che lavorino insieme ad altri professionisti ma anche che continuino a lavorare negli studi che sono ancora più capillari. Potremmo ipotizzare che il loro lavoro possa essere agevolato anche con più servizi a loro disposizione, vanno inglobati nel SSN di più di quanto lo sono adesso».

 

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