Il numero due di Viale Trastevere parla a Sanità Informazione dei punti su cui verterà la riforma delle Scuole di Specializzazione: «Serve maggiore trasparenza e merito. L’Italia perde fino a 500mila euro per ogni medico che va all’estero. Deve diventare più attrattiva per chi è fuori, occorre maggiore mobilità». E aggiunge: «Rapporto tra azienda ospedaliera e università non è sempre efficiente come dovrebbe essere»
Investimenti, mobilità nella ricerca, trasparenza e merito. È la ricetta che ha in mente Lorenzo Fioramonti, Viceministro all’Istruzione, Università e Ricerca, per ristrutturare il mondo delle scuole di specializzazione di medicina e per rendere più attrattiva la professione medica, evitando che centinaia di medici lascino il Belpaese e vadano ad esercitare in altri Stati. Un fenomeno, questo, che secondo Fioramonti può arrivare a costare all’Italia fino a 500mila euro a persona. Del resto i dati non sono confortanti: in 10 anni (dal 2005 al 2015) sono ben 10mila i camici bianchi che hanno scelto di andare all’estero, una media di mille all’anno. Resta poi il nodo dell’imbuto formativo: se ogni anno si laureano 10mila persone, i posti per la specializzazione si aggirano intorno ai 7500. «La condizione fondamentale è mettere più soldi e fare in modo che ci sia il prima possibile un 80-90% di copertura, idealmente anche il 100% di copertura cosicché coloro che sono meritevoli e già laureati abbiano la possibilità di accedere al corso di specializzazione» continua il Viceministro al Miur, che poi snocciola un altro dato molto interessante: «Gli investimenti in ricerca hanno otto volte i ritorni degli altri investimenti, sono superiori a qualunque altra forma di investimento».
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Viceministro, lei ha dato un dato incredibile: perdiamo 500mila euro per ogni medico che va all’estero. Cosa possiamo fare per trattenere i professionisti in Italia?
«Dobbiamo cominciare a capire che perdere delle persone non è soltanto un problema dal punto di vista morale e sociale. È anche un problema enorme da un punto di vista economico: noi spendiamo circa 200mila euro per formare un laureato. Un costo totale, quello dell’istruzione, che aumenta se partiamo dai primi anni di vita. Quando parliamo di uno specializzando c’è tutto un percorso molto più importante. Allora noi dobbiamo fare in modo di cominciare a riattrarre le persone in Italia. Come lo si fa? Possiamo investire di più: gli investimenti in ricerca hanno otto volte i ritorni degli altri investimenti, sono superiori a qualunque altra forma di investimento; oppure creando delle condizioni di maggiore trasparenza e merito all’interno delle nostre strutture ospedaliere, formative, universitarie e così via. Anche questo è importante, tanti vanno via perché non si sentono valorizzati, non soltanto perché non guadagnano abbastanza o non hanno fondi di ricerca. E poi facendo in modo che l’Italia sia molto meglio collegata ad altri contesti europei e internazionali di modo che ci sia anche più mobilità dal punto di vista del personale, soprattutto nelle strutture di ricerca. L’Italia deve diventare più attrattiva per chi è fuori e in grado anche di beneficiare di una mobilità circolare, cioè gli italiani che vanno fuori per qualche anno è importante che poi rientrino e devono arrivare più stranieri. Tutto questo si può fare, ovviamente la condizione fondamentale è ricominciare a investire in questi settori e creare trasparenza e merito».
Il MIUR ha la competenza sulle scuole di specializzazione. Come si pensa di potenziarle e qualificarle? Ci sono investimenti ad hoc in materia?
«Sicuramente dobbiamo investire di più nelle borse di studio, non è possibile che chi esce fuori dalla facoltà di Medicina ha solo il 60% di possibilità di riuscire ad accedere alle scuole di specializzazione. Molti di loro non hanno accesso perché non ci sono finanziamenti sufficienti. In secondo luogo, deve essere fatto in maniera più trasparente e anche in maniera più dinamica così che non si sia costretti magari a prendere la borsa di studio in un settore e poi abbandonarla perché la si è vinta in altri settori. Noi molto spesso abbiamo delle borse che dormono negli anni, quindi bisogna efficientare anche questo meccanismo. E poi la condizione fondamentale è mettere più soldi e fare in modo che ci sia il prima possibile un 80-90% di copertura, idealmente anche il 100% di copertura, cosicché coloro che sono meritevoli e già laureati abbiano la possibilità di accedere al corso di specializzazione. Ora qui c’è un altro elemento importante, per questo abbiamo avviato un tavolo con il ministero della Salute: cosa deve fare la specializzazione? Possiamo cominciare a utilizzare già i medici che si stanno specializzando per svolgere alcune delle attività fondamentali nel Pronto soccorso o di altri settori? Cosa fare con il percorso di formazione del medico generale, che oggi è gestito in maniera totalmente diversa rispetto alle altre specializzazioni ma è una figura centrale in un SSN che punti sulla prevenzione? Tutto questo è parte del lavoro che stiamo facendo con la salute: prevede ovviamente uno stanziamento finanziario importante ma soprattutto un efficientamento delle strutture che già esistono, quindi una collaborazione diversa anche con le regioni e fare in modo che gli ospedali e le università siano un tutt’uno perché anche qui esiste un problema: la gestione di questo rapporto tra azienda ospedaliera e università non è sempre efficiente come dovrebbe essere».
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