Virginia Di Vivo, studentessa parmense, ha raccontato l’intervento di Pietro Bartolo al congresso studentesco degli studenti di Medicina. Il racconto delle cure ai migranti sul ‘fronte’ di Lampedusa ha catturato l’attenzione della rete: 30mila like e 32mila condivisioni
«Generalmente non mi espongo su questi fatti, perché non sono informata a modo, ma questa cosa ve la devo troppo raccontare…». Comincia così un post su Facebook di Virginia Di Vivo, studentessa di Medicina all’università di Modena, destinato a diventare virale e ripreso anche da Open, quotidiano online fondato da Enrico Mentana.
Virginia si trovava a Modena al Congresso studentesco MoReMED dedicato all’innovazione e all’avanguardia nel campo della medicina, che intende promuovere la ricerca scientifica tra gli studenti.
«Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi».
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Poi però qualcosa attira la sua attenzione. È l’intervento di Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, da poco candidato alle europee per il Partito democratico nella circoscrizione Isole.
«Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta: “Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano».
Parole che non cascano nel vuoto ma che colpiscono la studentessa, anche grazie allo stile antiretorico di Bartolo che racconta tutte le sofferenze viste sul campo, gioie e dolori di un lavoro in prima linea. «”Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”», spiega Bartolo che durante il suo intervento mostra anche delle foto di migranti e di sofferenza. «Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare». A questo punto -. Racconta Virginia – non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio.
«”Ma ci sono anche cose belle – continua Bartolo – cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta».
«Il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora – spiega la studentessa di medicina su Fb – Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!».
Il post è diventato rapidamente virale con oltre 30mila like e 32mila condivisioni, oltre duemila i commenti.