Finora solo il 2% dei paesi più poveri ha ricevuto un dose di vaccino contro Covid-19, nella riunione delle Nazioni Unite i leader hanno stabilito il 70% come obbiettivo entro settembre 2022. Ad oggi sembra impossibile
Si è svolto il vertice delle Nazioni Unite, composto dai rappresentati di 80 diversi governi nel mondo, che ha raggiunto una conclusione ben precisa proposta dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Entro 12 mesi vaccinare contro Covid-19 il 70% della popolazione di tutti i paesi a qualunque livello di reddito. Una nobile impresa, che si troverà però ad essere ostacolata proprio dai paesi che la accetteranno.
In un articolo presente sul British Medical Journal, si delinea una situazione di stallo in cui proprio le scorte di vaccino che i paesi ricchi stanno accumulando costituiscono l’ostacolo principale alla distribuzione in quelli meno abbienti. Lavorano in due direzioni opposte le Agenzie del Farmaco, sia quella statunitense che quella europea e inglese, e l’Organizzazione mondiale della Sanità. Mentre le prime stanno procedendo rapidamente ad approvare le dosi booster, prima per i più fragili e poi a mano a mano per tutti, l’OMS ha ribadito che in troppi Paesi a mancare sono le prime dosi e che questa è la vera emergenza.
Sono necessari sei miliardi di dosi per vaccinare i paesi a medio e basso reddito, un numero identico a quello di tutte quelle somministrate finora nel mondo. Guardando a queste cifre, è evidente che quella promessa della Casa Bianca secondo cui «faremo entrambe le cose: terze dosi e aiutare gli altri Paesi» regge poco. L’impegno è quello di produrre 1,1 miliardi di dosi di vaccino, di cui 300 milioni da donare entro fine anno: troppo poche anche solo per pensare all’obbiettivo finale.
Un obbiettivo che recita a chiare lettere: 40% di vaccinati entro fine 2021 nei paesi più poveri e 70% entro il 2022. Ad oggi meno del 2% di quelle quote ha ricevuto la prima dose, contro il 54% di quelli ad alto reddito. Di quel miliardo di dosi che i paesi a reddito alto avevano promesso di donare, «solo il 15% è arrivato» ha ricordato il dg OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus. Tutti i leader si indignano per quanto poco è stato fatto, ma pochi sono passati all’azione per ora.
Al vertice delle Nazioni Unite le richieste di India e Sudafrica si sono concentrate sulla rinuncia ai brevetti vaccinali in modo che tutti i Paesi possano produrli. Cadute però nel vuoto, dove persino Biden che si era espresso favorevolmente tempo fa le ha lasciate. La deroga statunitense è stata approvata a maggio, ma da allora nessuna pressione è stata fatta sugli alleati perché si adeguassero.
Ci sono comunque esempi positivi da questo punto di vista. Il vaccino Sputnik ad esempio è stato prodotto in 34 diversi siti all’estero, ma mentre la prima dose è stata relativamente facile da eseguire, la seconda a base di diverso vettore virale ha causato molti stop. Ora l’India chiede di riutilizzare alcuni di quei siti per produrre il prodotto Johnson&Johnson.
Quel che sembra sicuro è che i numeri non ci sono per continuare a portare avanti la campagna di terze dosi e immunizzare quanto serve oltre i confini dei paesi abbienti. I produttori di vaccini rassicurano dicendo che sarà fatto tutto perché anche chi non ha ricevuto il vaccino anti-Covid venga protetto dall’immunità di gregge su scala mondiale entro il settembre 2022. Ora come ora è difficile crederlo o ipotizzarlo, eppure i vaccini sono essenziali anche solo per provarci. «Non vogliamo più promesse, solo vaccini», ha ribadito Ghebreyesus e l’invito adesso suona più urgente che mai.
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