Sanità 7 Dicembre 2018 11:31

Violenza in corsia, parla AMA la ‘FNOMCeO’ americana: «In 14 anni, nei nostri ospedali 200 sparatorie e 275 vittime»

L’American Medical Association a Sanità Informazione: «Le istituzioni federali devono agire per proteggere gli operatori sanitari, gli ospedali devono adottare piani di prevenzione e i medici devono seguire corsi di formazione per imparare a reagire nel modo corretto alle aggressioni»

Violenza in corsia, parla AMA la ‘FNOMCeO’ americana: «In 14 anni, nei nostri ospedali 200 sparatorie e 275 vittime»

In Italia si registra l’ennesimo caso di violenza in un ospedale, ma quello delle aggressioni al personale sanitario è un fenomeno drammaticamente presente in tanti altri Paesi del mondo. A partire dagli Stati Uniti, dove le statistiche vengono redatte tenendo in considerazione solo i casi di sparatorie, tanto è grave la situazione. Per capirne di più, abbiamo contattato l’American Medical Association, una sorta di FNOMCeO Oltreoceano, che ha evidenziato la gravità del problema e i rischi di violenza corsi da chi lavora in corsia.

«Tra il 2000 ed il 2011 – ci ha scritto l’AMA – sono state registrate 154 sparatorie che hanno coinvolto 148 ospedali e causato 235 vittime. Il 59% di queste sono avvenute all’interno delle strutture, soprattutto nei pronto soccorso e nelle stanze dei pazienti, mentre il 41% sul territorio circostante gli ospedali. Nel 91% dei casi, a sparare sono stati uomini. Tra i motivi principali che hanno scatenato le aggressioni, vendetta e risentimento, ma le vittime spesso sono i pazienti stessi che decidono di suicidarsi (21% degli episodi) o che chiedono ai familiari di porre fine alla loro vita (14%)».

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«Nel periodo 2011-2013, poi – prosegue l’AMA – si sono registrate altre 47 sparatorie, che hanno provocato 39 morti e 19 feriti. Il 60% di queste sono avvenute negli ospedali con un Centro Traumi e, nel 78% dei casi, chi ha sparato voleva colpire un obiettivo specifico».

Un vero bollettino di guerra, che ben esemplifica le ragioni di un dibattito, quello sulle armi, che da decenni divide gli Stati Uniti. Ma per prevenire la violenza, che include aggressioni fisiche e verbali, «si può fare molto di più», spiega l’AMA, che chiede a tutte le parti coinvolte di «attivarsi per aumentare la sicurezza degli operatori della sanità».

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In particolare, l’American Medical Association chiede alla Occupational Safety and Health Administration (l’agenzia governativa che deve garantire la sicurezza sul lavoro – OSHA) di sviluppare e implementare una nuova strategia di prevenzione della violenza nei contesti sanitari; chiede al Congresso di prevedere ulteriori finanziamenti per il National Institute for Occupational Safety and Health, cosicché possa valutare nuovi programmi e politiche di prevenzione della violenza contro gli operatori sanitari e aggiornare i corsi di formazione on line destinati a medici e infermieri; sollecita inoltre le strutture sanitarie ad adottare politiche che riducano il rischio di violenza e strumenti di denuncia che gli operatori possano facilmente trovare e compilare, oltre ad organizzare corsi di formazione sulla prevenzione e includere i medici nelle commissioni che si occupano di salute e sicurezza nel luogo di lavoro; infine, l’AMA incoraggia i medici a partecipare ai corsi di formazione per prevenire e rispondere alle minacce di violenza, a denunciare tutti gli episodi di aggressione e a promuovere una cultura di sicurezza sul luogo di lavoro.

«Gli operatori della sanità rappresentano una porzione significativa delle vittime della violenza sul lavoro – prosegue l’AMA -. La OSHA ha adottato dei piani di prevenzione per proteggere medici e infermieri dagli atti di violenza ma, considerati i rischi che corrono, non sono sufficienti. Sono necessari studi ulteriori per migliorarne l’efficacia nelle strutture sanitarie. In alcuni stati, poi, i piani di prevenzione sono obbligatori, in altri no. Una strategia omogenea per tutti gli Stati Uniti adottata dal governo federale – conclude l’American Medical Association – contribuirebbe a preparare meglio gli operatori sanitari di tutto il territorio ad affrontare le aggressioni negli ospedali».

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