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«Il concetto di “ben-essere”, oggi, viene sempre più confuso con quello di “bell-essere”, un mix di comportamenti assunti da quelle persone che seguono più il culto dell’apparire che dell’essere». A spiegare il significato di questo neologismo è Giacinto A.D. Miggiano, Direttore dell’UOC di Dietetica e Nutrizione Umana del Policlinico Gemelli di Roma. Professore, comportarsi in […]
«Il concetto di “ben-essere”, oggi, viene sempre più confuso con quello di “bell-essere”, un mix di comportamenti assunti da quelle persone che seguono più il culto dell’apparire che dell’essere». A spiegare il significato di questo neologismo è Giacinto A.D. Miggiano, Direttore dell’UOC di Dietetica e Nutrizione Umana del Policlinico Gemelli di Roma.
Professore, comportarsi in nome del bell-essere può avere conseguenze sulla salute?
«Certo, può condurre a disturbi del comportamento alimentare. Accanto a quelli più noti, come l’anoressia e la bulimia, infatti, ce ne sono molti altri. Si va dall’alimentazione non controllata, disordinata, fino all’alimentazione notturna. In campo sportivo, invece, possiamo distinguerne due particolari forme: la vigoressia e l’ortoressia».
Di cosa si tratta?
«La vigoressia (chiamata anche “bigoressia” dall’inglese big, grande) e l’ortoressia (o “mangiare corretto”) sono caratterizzate da una mania verso la propria forma fisica. Il desiderio di un corpo magro e muscoloso è costante, così come la tendenza ad attuare un controllo esagerato sul cibo. Si mangia solo leggendo le etichette. Queste persone vogliono evitare di essere “contaminate” dal cibo».
È possibile fare un identikit dei soggetti potenzialmente a rischio?
«Maschi tra i 25 e i 35 anni, seguiti da giovani e adolescenti tra i 18 e i 24 anni. Si tratta di perfezionisti, soggetti che vogliono controllare ogni aspetto della propria vita, alimentazione compresa. Un controllo che per l’individuo rappresenta un modo di rassicurare se stesso».
Esistono dei fattori scatenanti?
«È possibile che i disturbi del comportamento alimentare si manifestino dopo una delusione, un distacco, una sofferenza. Situazioni che possono indurre ad una ricerca di gratificazione nel cibo o nel controllo dell’alimentazione».
Di fronte anche ad un solo sospetto che si possa soffrire di uno di questi disturbi, qual è la prima cosa da fare?
«Innanzitutto, non fare mai da sé, perché si sbaglia. La diagnosi è sempre compito del medico. Il nutrizionista, in particolare, deve classificare la tipologia di disturbo. Poi, se necessario, a seconda della gravità del problema, si assocerà una consulenza di tipo psicologico o psichiatrico».