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«Quando si è in dolce attesa attenzione a sonnolenza, pigrizia, cute secca, brividi di freddo, depressione: sono tutti segni che caratterizzano l’ipotiroidismo». L’intervista al presidente dell’Associazione medici endocrinologi Edoardo Guastamacchia
«Durante la gravidanza, anche in condizioni di normotiroidismo, è necessario seguire con attenzione la funzione tiroidea della donna». Alla vigilia del settimo convegno Ame “Thyroid Uptodate“, il presidente dell’Associazione medici endocrinologi Edoardo Guastamacchia mette in guardia tutte le donne in dolce attesa e quelle che stanno programmando una gravidanza: «La necessità di ormone tiroideo aumenta nettamente».
Cosa accade, invece, quando la futura mamma ha ricevuto una diagnosi di ipotiroidismo prima ancora di scoprire di essere incinta? «Durante la gestazione – risponde Guastamacchia – la posologia della tiroxina, cioè dell’ormone sostitutivo, dovrà essere implementata. Anche i controlli dovranno essere molto più rigorosi: uno ogni mese almeno durante i primi sei di gravidanza. In particolare, sarà necessario monitorare il Tsh, il cui valore dovrebbe risultare al di sotto di 4».
Esami fondamentali per assicurare che il feto abbia un normale sviluppo: «Monitorare la funzione tiroidea è molto importante perché nei primi tre mesi della gravidanza si formano sia il cervello che il cuore. Non bisogna mai ridurre l’attenzione da questo punto di vista perché il futuro del nascituro è proprio posto nella capacità di seguire al meglio la paziente».
Ma è anche possibile che una donna che non abbia mai presentato problemi di ipotiroidismo riceva una diagnosi durante la gravidanza: «Per questo – aggiunge Guastamacchia – l’ideale sarebbe che qualunque donna esegua l’esame del Tsh all’inizio della gravidanza. Se questo non dovesse essere possibile allora sarà necessario prestare attenzione a particolari sintomi: sonnolenza, pigrizia, cute secca, brividi di freddo, depressione, sono tutti segni che caratterizzano l’ipotiroidismo. In tal caso, bisognerà immediatamente iniziare la terapia con ormone tiroideo, la tiroxina e, soprattutto controllare, attraverso un’ecografia, che il feto non abbia riportato dei danni, uno dei quali – ha concluso l’endocrinologo – potrebbe essere un’ipertrofia tiroidea, quindi un gozzo fetale».
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