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Cesare Aragona, responsabile del Centro per la Riproduzione Assistita del Policlinico Umberto I di Roma, racconta tutte le fasi della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) e gli eventuali ostacoli che possono presentarsi durante il percorso
Chiunque decida di intraprendere un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) deve sottoporsi a delle terapie specifiche, sia prima che durante la procedura. «Le prime terapie sono finalizzate ad ottenere un numero di ovociti maggiore rispetto al ciclo naturale – spiega Cesare Aragona, responsabile del Centro per la Riproduzione Assistita del Policlinico Umberto I di Roma -. Disporre di più ovociti significa poter aumentare, statisticamente, le possibilità di ottenere un impianto. Gli ovociti, infatti, possono essere crioconservati ed “utilizzati” per futuri tentativi di PMA».
I trattamenti somministrati sono a base di ormoni. «Si tratta di terapie ormai consolidate, utilizzate da più di trent’anni nella pratica clinica, che hanno lo scopo di stimolare una crescita follicolare multipla. Terminata la somministrazione, quando i tempi e gli ovociti saranno “maturi” al punto giusto, si procederà, sotto la guida dell’ecografo, a prelevarli e collocarli in “provetta”. La fase successiva – continua Aragona – sarà poi quella della fecondazione vera e propria, ovvero dell’unione tra l’ovocita e lo spermatozoo, con tecnica Fivet o Icsi a seconda della situazione della coppia. Successivamente, se e quando l’embrione sarà formato, si procederà al trasferimento in utero. L’embrione può essere trasferito dal terzo al sesto giorno di formazione».
La procedura, seppur eseguita correttamente, può non andare a buon fine. «Il fallimento – spiega lo specialista in PMA – può avvenire per un’alterazione della qualità ovocitaria, presente in circa il 30% delle donne che ricorrono alla PMA, o per una non corretta preparazione dell’endometrio. Problematiche che, ovviamente – sottolinea Aragona – vanno valutate caso per caso».
Tuttavia, anche se l’attecchimento dell’embrione all’utero va a buon fine, ci sono delle terapie ulteriori che devono ancora essere seguite per “aiutare” la gravidanza a progredire. «Un ovocita appena inseminato all’interno della cavità uterina è in grado di dare inizio ad una gravidanza perché può sopravvivere fino a 120 ore ed oltre, ovvero fin quando non raggiunge lo stadio di blastocisti. Ne consegue – dice il responsabile del Centro per la Riproduzione Assistita del Policlinico Umberto I – che nell’arco di queste 120 ore all’interno dell’utero dovranno trovarsi specifici nutrienti in grado di supportare la crescita, lo sviluppo e l’impianto dell’embrione. In questi primissimi giorni giocano un ruolo fondamentale sostanze come l’inositolo e la vitamina D».
Affinché avvenga l’impianto è necessario anche che ci sia un’interazione tra l’embrione e la madre, e che, quindi, il corpo della donna si prepari ad accoglierlo senza rigettarlo. «La vitamina D favorisce proprio questa accettazione, riducendo il rischio di rigetto dell’embrione. Tuttavia, anche per gli integratori alimentari, così come per le terapie ormonali, pur essendoci delle procedure generalmente utilizzate da chi pratica la PMA e condivise dal mondo scientifico, è necessario che ogni paziente si attenga alle prescrizioni dello specialista che la segue, poiché si tratta di percorsi sempre cuciti su misura, adattati alle esigenze di ogni singola donna», conclude Aragona.
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