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Picconeri (SIRU): «Una gravidanza ottenuta con PMA dovrebbe, potenzialmente, essere monitorata come un qualsiasi altro concepimento avvenuto naturalmente. Tuttavia, sono diversi i fattori da non sottovalutare che potrebbero causare una gravidanza a rischio. In primis età e obesità»
In Italia, il 15% delle coppie è infertile. La problematica può riguardare sia l’uomo che la donna, con la medesima incidenza, o entrambi (infertilità di coppia). Oggi, grazie alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), anche chi è infertile può avere una chance e concepire un figlio. «Le metodiche di PMA sono suddivise in tre livelli. Il primo è il meno invasivo e prevede che la fecondazione si realizzi all’interno dell’apparato genitale femminile. Le tecniche di II e III livello sono, invece, più complesse e prevedono che la fecondazione avvenga in vitro», spiega Giuseppina Picconeri, ginecologa, coordinatrice della Società Italiana di Riproduzione Umana (SIRU) Lazio.
Quando l’esito della PMA è positivo a quali esami dovrà sottoporsi la donna durante il periodo di gestazione? «Una gravidanza ottenuta con PMA dovrebbe, potenzialmente, essere monitorata come un qualsiasi altro concepimento avvenuto naturalmente – risponde la specialista -. Tuttavia, sono diversi i fattori da non sottovalutare che potrebbero causare una gravidanza a rischio. Il primo da considerare, sia che si tratti di gravidanza ottenuta con PMA che di concepimento naturale, è l’età». In Italia, l’età media della donna al primo figlio è superiore a 31 anni.
«Il secondo fattore di rischio è l’obesità che, laddove fosse presente, potrebbe aver causato l’infertilità stessa – spiega Picconeri -. Di conseguenza, gravidanze che presentano uno o entrambi i fattori di rischio dovrebbero essere seguite con estrema attenzione già dalla quinta settimana. È necessario anche verificare il posizionamento della camera gestazionale, poiché anche la PMA non evita del tutto il rischio di gravidanza extrauterina».
Successivamente, si controllerà la normale evoluzione della gestazione, «verificando la presenza del sacchetto vitellino, l’embrione con la sua attività cardiaca. Contemporaneamente – aggiunge la ginecologa – attraverso prelievi del sangue, si terrà osserverà il graduale aumento della beta hCG, una glicoproteina ad attività ormonale. Da tenere sotto controllo pure l’alimentazione della gestante, in eccesso o in difetto, sia che si tratti di gravidanza naturale che da PMA».
Successivamente andranno programmati i test di diagnosi prenatale, che potranno essere invasi o non invasivi, a seconda dell’età della donna, dell’anamnesi familiare e in base alle scelte della coppia. «Si va dalla villocentesi, ovvero il prelievo di una piccola porzione di villi coriali, da effettuare dalla decima settimana di gestazione e non oltre la tredicesima, all’amniocentesi, un’analisi del liquido amniotico, tra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza – dice Picconeri -. Tra i test non invasivi, la ricerca del DNA fetale nel sangue materno attraverso un prelievo ematico alla gestante».
Gravidanza da PMA: l’importanza della morfologica
Fondamentale l’ecografia morfologica, da effettuare nel secondo trimestre, fra le 19 e 21 settimane compiute di età gestazionale. «Questo esame consente di valutare lo stato di salute fetale e la regolare evoluzione della gravidanza – commenta la specialista -. Importante strumento di screening, anche se non presente nelle linee guida, è l’ecocardiografia fetale. In generale, più informazioni riusciamo ad ottenere sullo stato di salute del bambino che sta per venire al mondo e più – conclude la ginecologa – la futura madre vivrà il momento del parto con serenità».
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