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«Il rapporto madre-figlio influenza il comportamento alimentare del bambino, nel bene e nel male. Un trauma nella relazione può ripercuotersi anche nelle abitudini dell’età adulta, fino a trasformarsi in patologia». A rivelarlo è Luigi Jarini, direttore dell’ UOC di Psichiatria del Policlinico Gemelli di Roma che, all’argomento, ha dedicato un intero studio. La ricerca ha […]
«Il rapporto madre-figlio influenza il comportamento alimentare del bambino, nel bene e nel male. Un trauma nella relazione può ripercuotersi anche nelle abitudini dell’età adulta, fino a trasformarsi in patologia». A rivelarlo è Luigi Jarini, direttore dell’ UOC di Psichiatria del Policlinico Gemelli di Roma che, all’argomento, ha dedicato un intero studio. La ricerca ha coinvolto 26 adolescenti con disturbi dell’alimentazione, dai 13 ai 18 anni, per un periodo di 20 mesi, con l’obiettivo di confrontare pazienti che hanno subito dei traumi infantili (come abusi fisici, psicologi, abbandono) con coloro che non ne hanno avuti.
Allo studio hanno contribuito dieci terapeuti, sette donne e tre uomini, con almeno un decennio di attività clinica alle spalle. Gli adolescenti li hanno incontrati una volta alla settimana per 45 minuti, per un totale di circa 48 sedute in un anno. La terapia utilizzata è stata di tipo psicodinamico, un modello che implica l’elaborazione di esperienze infantili.
Professore Jarini, quali risultati sono stati ottenuti confrontando il lavoro dei dieci terapeuti?
«Dallo studio è emerso che molti degli adolescenti affetti da disturbi del comportamento alimentare hanno avuto dei traumi nel loro passato, che in genere si sono verificati nella prima infanzia e, dunque, nel rapporto con la propria madre. Un trauma vissuto in questo particolare periodo della vita distorce il cammino evolutivo e la crescita individuale».
Perché un trauma nella relazione madre-figlio si ripercuote proprio sul comportamento alimentare?
«Il cibo è al centro del rapporto tra una mamma e il suo bambino, sia da un punto di vita materiale che simbolico. Il seno, il latte, rappresentano il nutrimento vero e proprio, ma anche l’accudimento, la cura. Di conseguenza, quando si verifica un trauma in questa relazione, il bambino ha la sensazione che la madre non lo stia nutrendo a sufficienza, sia nel senso concreto del termine, che figurato».
Esiste un periodo particolare in cui questi traumi possono generare ripercussioni peggiori?
«In genere si verificano abbastanza precocemente, entro i primi tre anni di vita del bambino. E di regola, quanto più è precoce questo trauma, tanto più saranno pesanti le conseguenze sul funzionamento mentale del bambino. Ovviamente di traumi relazionali ne esistono molti altri e possono verificarsi anche negli anni seguenti. Ma se ciò dovesse accadere, difficilmente avranno a che fare proprio con il cibo».
Quali sono le terapie più indicate per questa tipologia di pazienti?
«Questi traumi causano una fragilità psicologica da affrontare con una psicoterapia. Ma per superare i disturbi del comportamento alimentare è necessario coinvolgere anche l’endocrinologo, il nutrizionista e tutti quegli specialisti esperti di alimentazione e peso corporeo. È l’approccio multidisciplinare a garantire i risultati migliori».