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In un’intervista a Sanità Informazione Roberta Pecoriello, Medico Chirurgo esperta in tricologia, spiega le cause dell’alopecia, le tecniche di diagnosi e i trattamenti più innovativi: “L’unica situazione in cui non è possibile porre rimedio è in caso di pazienti poco collaboranti”
La perdita di capelli è una condizione comune con diverse cause e vari gradi di gravità. La comprensione delle cause e delle opzioni di trattamento disponibili può aiutare chi ne è affetto a gestire meglio la condizione. I problemi di capelli sono diffusi sia tra uomini che donne. Secondo recenti studi, il 18% delle donne soffre di alopecia/diradamenti durante l’adolescenza, il 35% prima della menopausa, il 50% dopo la menopausa. Oltre il 65% delle pazienti oncologiche subisce l’alopecia indotta dalla chemioterapia e il 47% delle stesse considera la perdita dei capelli come l’aspetto più traumatico della cura. Per quanto riguarda gli uomini, il 70% presenta anomalie di capelli dai 20 anni in poi. L’alopecia universale – malattia autoimmune con predisposizione genetica che solitamente si manifesta in presenza di un fattore scatenante – colpisce il 2% della popolazione caucasica. Secondo le statistiche dell’ISHRS (International Society of Hair Restoration Surgery), la più grande società al mondo di chirurghi della calvizie, nel 2022 sono stati eseguiti oltre tre milioni di trapianti di capelli nel mondo.
“Tra le cause principali c’è sicuramente la genetica, che diventa automaticamente il primo campanello d’allarme, l’alopecia androgenetica, come dice la parola stessa, è fortemente influenzata da fattori genetici, oltre che ormonali – spiega Roberta Pecoriello, Medico Chirurgo esperta in tricologia, in un’intervista a Sanità Informazione -. Ci sono poi gli squilibri ormonali, come quelli subiti durante la gravidanza o la menopausa che possono causare perdita di capelli. Da non sottovalutare situazioni di stress elevato o malattie croniche, anche le carenze nutrizionali, specialmente di ferro, zinco e vitamine, possono contribuire alla perdita di capelli. Inoltre, nel caso dell’alopecia androgenetica, rispetto alle generazioni precedenti la caduta dei capelli oggi è molto anticipata per via di cofattori come alimentazione non bilanciata, inquinamento e abitudini di vita scorrette, che incidono oltre a quelli genetici ed ormonali: per intervenire chirurgicamente è però consigliabile aspettare una condizione di relativa stabilità, che avviene di solito tra i 25 e i 30 anni”.
“La diagnosi della perdita di capelli coinvolge diversi passaggi e tecniche per determinare la causa sottostante e sviluppare un piano di trattamento adeguato – continua la dottoressa Pecoriello -. Si parta dalla storia medica del paziente analizzando le malattie passate e attuali, farmaci in uso, eventi stressanti recenti, cambiamenti ormonali. Da non sottovalutare la storia familiare e un’analisi dell’incidenza di calvizie nei familiari. Poi c’è un’analisi visiva per capire di che tipologia di perdita si tratta (diffusa, a chiazze, ecc.) e un esame del cuoio capelluto con microcamera. Una volta svolte queste fasi si prescrivono test diagnostici primi tra tutti gli esami del sangue e, per casi particolarmente complessi, si può ricorrere anche alla biopsia del cuoio capelluto e al test del capello. La diagnosi della perdita di capelli richiede un approccio multidisciplinare e personalizzato. Una corretta valutazione delle cause sottostanti è essenziale per sviluppare un trattamento efficace”.
Gli strumenti di cui ci si può avvalere sono molteplici e l’utilizzo dipende dalla fase di diradamento in cui si trova il cuoio capelluto. “Le tecniche chirurgiche hanno subito un notevole miglioramento negli ultimi anni e, senza dubbio, la meno invasiva per il paziente risulta la tecnica F.U.E. (Follicular Unit Excision), che prevede l’escissione delle unità follicolari dall’area donatrice e il loro innesto nelle zone calve o diradate – assicura l’esperta in tricologia -. Questo metodo lascia meno cicatrici e, se correttamente eseguita, nessun diradamento nella zona donatrice visibile o percepibile al tatto. L’innesto per l’autotrapianto viene effettuato con la tecnica DHI (Direct Hair Implant), il metodo associato a un maggiore attecchimento delle unità follicolari”.
L’autotrapianto è una procedura chirurgica minimamente invasiva, che si effettua in anestesia locale consentendo una completa ripresa in poco tempo: “Dopo cinque giorni si è già ottimamente presentabili, dopo dieci perfettamente presentabili – dice la dottoressa Pecoriello -. Il risultato è graduale, la ricrescita dei capelli richiede tempo, arriva all’85-90% a sei mesi dall’intervento, per essere ottimale a un anno. In situazioni di diradamento avanzato, per le quali l’autotrapianto non é sufficiente, possiamo utilizzare anche la tecnica mista, effettuando il trapianto nella regione frontale, per conferire massima naturalezza all’infoltimento, e applicando la protesi tricologica CNC (Capelli Naturali a Contatto) nella zona calva residua, soddisfacendo qualsiasi aspettativa”.
Molto importante anche la terapia rigenerativa, una terapia che sfrutta la capacità delle cellule staminali adulte presenti in vari tessuti del nostro corpo di rigenerare i tessuti stessi. “Per quanto riguarda i capelli, stimola le cellule staminali del bulge, migliorando il benessere del capello ormonosensibile, rallentando il processo di miniaturizzazione che porta alla caduta e producendo un ispessimento e relativo allungamento – spiega la specialista -. In questa maniera sarà possibile preservare i capelli indigeni e migliorare i risultati ottenuti con la chirurgia preservandoli nel tempo ed, eventualmente, procrastinare l’intervento nei pazienti troppo giovani. A mio parere l’unica situazione in cui non è possibile porre rimedio è in caso di pazienti poco collaboranti e quindi – conclude la dottoressa Pecoriello – poco aderenti alle terapie e alle eventuali regole da seguire per garantire il risultato di un trattamento, sia esso medico o chirurgico”.
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