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Cosa si intende con cure palliative, come inquadrare un paziente potenzialmente end-stage e in cosa consiste la sedazione palliativa? Leggi l’approfondimento.
L’etimologia del termine “palliativo” ha la sua radice nel sostantivo latino “pallium”, che significa “mantello”, ovvero protezione. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le cure palliative sono «un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di un’identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e di altre problematiche di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale».
In Italia le cure palliative sono state definite per la prima volta con l’articolo 2 (comma 1, lettera a) della legge 38 del 2010 come «l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici».
Secondo il Ministero della salute, le cure palliative rappresentano dunque quell’insieme di cure, non solo farmacologiche, finalizzate a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase terminale che della sua famiglia. Per fase terminale intendiamo una condizione irreversibile, in cui la malattia non risponde più alle terapie che hanno come scopo la guarigione del paziente, il quale perde gradualmente autonomia. In una situazione del genere, assume importanza primaria il controllo del dolore, dei problemi psicologici, sociali e spirituali.
Lo scopo delle cure palliative non è dunque quello di accelerare o ritardare la morte del paziente ma di preservare la miglior qualità di vita possibile, fino al termine della stessa.
Come spiegato nel corso di formazione FAD “Il fine vita: approccio integrato alle cure palliative” (responsabile scientifico: Andrea Andreucci, Presidente della Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale), presente sulla piattaforma Consulcesi Club (9 crediti ECM), esistono diversi indicatori (inclusi empiricamente sulla base dell’esperienza) per capire quando il malato è potenzialmente all’ultimo stadio.
Parlando di fase terminale avanzata, di seguito i sintomi e segni delle ultime ore/giorni: astenia ingravescente; alterazioni di diuresi e minzione: urine scarse e scure, incontinenza, ritenzione; interruzione dell’assunzione di liquidi; alterazioni della coscienza: sonnolenza, confusione, agitazione, allucinazioni, delirium, scosse, mioclonie.
La sedazione palliativa è la riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo, altrimenti intollerabile per il malato, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta quindi refrattario.
Con la parola “intollerabile” si fa riferimento al punto di vista del malato sul sintomo e dipende dall’entità della sofferenza e dalla volontà del soggetto di sopportare il sintomo stesso. È un criterio centrale della definizione che esprime la tensione delle cure palliative alla personalizzazione delle cure.
Di seguito le condizioni rilevanti per procedere con la sedazione palliativa: sintomo refrattario/eventi acuti terminali; sofferenza intollerabile per il malato; morte imminente; consenso del malato (secondo possibilità); procedura terapeutica delicata ma normale in CP; non richiede giustificazioni etiche diverse da quelle di altre procedure terapeutiche.
La sedazione palliativa è da considerare appropriata quando:
Secondo l’articolo 24 del Codice deontologico delle professioni infermieristiche, l’infermiere presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita; riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale. L’infermiere sostiene infine i familiari e le persone di riferimento dell’assistito nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto.
In questa delicata fase, l’infermiere concepisce il malato in maniera diversa: non antepone l’efficienza e il tecnicismo, ma instaura un rapporto più antico e più profondo di cura del malato e non della malattia. Utilizza inoltre un approccio e una valutazione multidimensionali che tengano conto degli aspetti sanitari, ma anche degli aspetti socioeconomici e spirituali.
Per quanto riguarda le competenze che l’infermiere deve necessariamente avere, quando si parla di cure palliative, queste sono:
L’infermiere, inoltre, svolge le seguenti attività: partecipa con il medico al colloquio con i familiari; favorisce un ambiente idoneo; interrompe le terapie non più necessarie; secondo lo schema terapeutico somministra induzione e successivamente inizia infusione palliativa e terapia al bisogno; valuta periodicamente lo stato della sedazione; garantisce dignità alla persona tramite l’igiene di base; effettua colloqui costanti con i parenti e gestisce le loro preoccupazioni; quando la persona decede prepara la salma, dando sempre il tempo ai familiari di salutare il proprio caro; fornisce informazioni sulla camera ardente.
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