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«L’ictus è una vera e propria emergenza neurologica, e la sua prognosi è tempo-dipendente – precisa il professor Di Lazzaro – è fondamentale non esitare a contattare i servizi di emergenza in caso di sintomi suggestivi di ictus»
Oggi, 29 ottobre si celebra la Giornata Mondiale contro l’ictus cerebrale una patologia “tempo-dipendente” su cui la pandemia di covid-19 ha avuto un impatto notevole. Ma cos’è l’ictus cerebrale, quanti diversi tipi di ictus esistono e quali sono i sintomi e principali fattori di rischio? Fare prevenzione è possibile? Abbiamo approfondito l’argomento con il Professor Vincenzo Di Lazzaro, direttore UOC Neurologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.
«L’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 sull’ictus è complesso – spiega il professor Di Lazzaro a Sanità Informazione – sta emergendo che l’incidenza di ictus è aumentata in pazienti affetti da COVID-19, probabilmente per uno stato di ipercoagulabilità e di aumentata infiammazione correlata al virus, anche se i meccanismi non sono ad oggi ancora del tutto chiariti». Ma c’è anche un’altra importante considerazione di tipo pratico da fare: «Sin dai primi mesi della pandemia, si è evidenziato che le richieste di intervento per ictus, così come quelle per infarto del miocardio, si sono ridotte sensibilmente rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo andamento anomalo è stato in parte correlato al timore di esporsi al rischio di contagio accedendo a strutture ospedaliere. Inoltre, a causa della pressione determinata dal numero dei pazienti affetti da COVID-19, si è verificato purtroppo in alcuni contesti che la rete dell’emergenza non sia riuscita a rispondere in tempi rapidi alle richieste di soccorso. Ritardare l’accesso in pronto soccorso in caso di ictus può avere conseguenze disastrose».
«Bisogna infatti ricordare – continua Di Lazzaro – che l’ictus è una vera e propria emergenza neurologica, e la sua prognosi è tempo-dipendente: sono molto poche le ore a disposizione per poter effettuare le terapie della fase acuta, superata la quale si assiste ad un processo irreversibile di morte neuronale. Inoltre, in fase acuta è opportuno il monitoraggio e può rendersi necessario un supporto dei parametri vitali, che può essere effettuato solo in strutture dedicate. La raccomandazione, valida soprattutto in questo momento storico, è quella di non esitare a contattare i servizi di emergenza in caso di sintomi suggestivi di ictus. I protocolli del 118 prevedono che il paziente venga condotto presso un centro specializzato per la terapia dell’ictus, ed i pronto soccorso hanno allestito percorsi specifici per evitare il rischio di contagio».
«Quando si parla di ictus – specifica il professore – ci si riferisce tipicamente all’ictus cerebrale. Estremamente più rara è l’evenienza di un ictus che colpisca il midollo spinale. L’ictus ischemico, che è la forma più frequente di ictus (80% dei casi circa), è dovuto all’interruzione del flusso attraverso un’arteria cerebrale. Tale occlusione – aggiunge lo specialista – può essere dovuta ad un processo trombotico locale o derivare da coaguli che arrivano alle arterie cerebrali tramite il sistema cardiocircolatorio. L’ictus emorragico rappresenta il 20% circa dei restanti casi ed è dovuto ad uno stravaso di sangue attraverso un’arteria cerebrale. Ci sono due tipi principali di ictus emorragico: l’emorragia intraparenchimale, generalmente dovuta a picchi ipertensivi, e l’emorragia subaracnoidea, generalmente dovuta alla rottura di un aneurisma. Sia nell’ictus ischemico che in quello emorragico si verifica un danno delle cellule cerebrali interessate dall’evento. Il tempestivo ricorso alle cure di fase acuta riduce la mortalità e la disabilità conseguenti all’ictus».
«Il più frequente “campanello di allarme” che può, in alcuni casi, precedere un ictus ischemico è l’attacco ischemico transitorio (o TIA). Si tratta di un evento della durata variabile da alcuni minuti ad alcune ore, ed è dovuto ad una sofferenza transitoria delle cellule cerebrali per un ipoafflusso di sangue. Si manifesta come un ictus, ma è transitorio. È fondamentale pertanto riconoscere le possibili manifestazioni di un’ischemia cerebrale, anche transitoria, ed effettuare in tal caso una valutazione neurologica urgente in pronto soccorso».
Per facilitare il riconoscimento dell’ictus e ricordare l’importanza di un intervento tempestivo, nei paesi anglosassoni è stato coniato l’acronimo FAST (Face, Arm, Speech, Time): in caso di comparsa improvvisa di deviazione della bocca, di debolezza (o anche di riduzione di sensibilità) di un arto, di difficoltà a parlare o a comprendere ciò che viene detto, è necessario non perdere tempo ed attivare i servizi di emergenza. Per quanto riguarda i fattori di rischio di ictus, quelli principali sono gli stessi delle patologie cardiovascolari e comprendono:
Notevole importanza riveste inoltre la fibrillazione atriale. Per ridurre il rischio di incorrere nella patologia, è importante intervenire sui fattori di rischio modificabili e adottare uno stile di vita sano, evitando l’abuso di bevande alcooliche, l’abitudine al fumo e la sedentarietà».
«L’ictus cerebrale è la prima causa di invalidità nel mondo – evidenzia Di Lazzaro – la seconda di demenza e la terza di mortalità nei paesi occidentali. L’aspettativa di vita dopo un ictus è influenzata da molte variabili: oltre al tipo di ictus, alla sua gravità, alle terapie effettuate in fase acuta e poi in fase cronica, intervengono anche fattori legati al soggetto quali l’età, il genere, lo stato di salute generale prima dell’evento, e, non in ultimo, fattori socioeconomici e culturali.
In Italia, circa un terzo delle persone colpite non sopravvive ad un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità (dati Osservatorio Ictus Italia 2018). Oltre all’invalidità dovuta al coinvolgimento motorio, non sono inoltre da trascurare gli esiti psicologici ed emotivi e i possibili esiti cognitivi. Nonostante la mortalità per ictus sia diminuita negli ultimi quindici anni, ci si attende a livello europeo un incremento della mortalità per ictus di oltre il 30% entro i prossimi venti anni a causa dell’invecchiamento della popolazione. Per questo, è prioritario intervenire a livello di prevenzione, oltre che di cura, ed è importante proseguire nella ricerca di terapie sempre più efficaci e sicure» conclude.
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