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Giaretta (SIOT): “L’Ortobiologia comprende tutti quei trattamenti non chirurgici con procedure minimamente invasive che vengono effettuati in pazienti che fino a qualche anno fa avevano come sola scelta terapeutica interventi come, ad esempio, la sostituzione protesica”
Per l’ortopedia potrebbe essere descritto come il passaggio dalla fase ‘metallurgica’ a quella ‘biologica’. Grazie all’ortobiologia, un settore della medicina rigenerativa, si recuperare quanto danneggiato, soprattutto a livello articolare, piuttosto che procedere alla sostituzione con tecnica chirurgica. Il tutto attraverso la sinergia tra biologi e ortopedici. Questo approccio include l’utilizzo di diversi prodotti innovativi, tra cui i biomateriali, i fattori di crescita e le cellule del paziente stesso. Di solito, si decide di ricorre all’ortobiologia quando i processi di degenerazione dell’articolazione sono in fase iniziale o intermedia.
“L’Ortobiologia comprende tutti quei trattamenti non chirurgici con procedure minimamente invasive che vengono effettuati in pazienti che fino a qualche anno fa avevano come sola scelta terapeutica interventi come, ad esempio, la sostituzione protesica”, spiega Stefano Giaretta, Dirigente medico UOC Ortopedia e Traumatologia Ospedale San Bortolo, Vicenza, AULSS8 “Berica” e Responsabile UOSVD Centro di Riferimento Regionale per la Chirurgia di Revisione Protesica, che ha dedicato un’intera sessione all’argomento durante il Congresso SIOT 2023.
“Ai trattamenti infiltrativi classici con farmaci antinfiammatori e quelli a base di acido ialuronico, si sono aggiunte le infiltrazioni con i derivati del sangue, i cosiddetti PRP, fino ad arrivare ai trattamenti con le cellule mesenchimali (MSC) estratte dal midollo osseo o dal grasso sottocutanee – continua Giaretta -. Siamo nell’ambito della medicina riparativa e rigenerativa perché si attua uno stimolo biologico a quella che è la risposta dolorosa che l’artrosi provoca nelle varie articolazioni. Evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia sia riguardo le infiltrazioni con l’acido ialuronico sia quelle con il PRP, e la letteratura più recente anche quelle con le cellule mesenchimali, in particolare nell’articolazione del ginocchio”. Non ci sono ancora al momento dati sufficienti a supporto, invece, che possano confermare gli stessi risultati per le altre articolazioni.
“In futuro – dice Giaretta, – ci aspettiamo un’evoluzione verso queste tecniche anche per tutte le patologie tendinee della spalla o per l’articolazione dell’anca. I trattamenti infiltrativi presentano controindicazioni estremamente ridotte, con un’attenzione particolare nei soggetti fragili o coloro che fanno uso di farmaci anticoagulanti o presentano varie comorbidità. Per quanto riguarda le infiltrazioni con il cortisone e con l’acido ialuronico non ci sono particolari controindicazioni a meno che il paziente non presenti allergie a uno dei componenti del farmaco o alterazioni gravi dello stato di salute. Il trattamento infiltrativo con PRP e MSC viene utilizzato principalmente per trattare quelle artrosi da lievi a moderate, sintomatiche, in cui il danno articolare e la funzione residua permetta ancora margini di un trattamento non chirurgico consentendo così una migliore qualità di vita per il paziente che, in caso di progressione della malattia, potrà essere sottoposto alla chirurgia protesica”.
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