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Si tratta di una infiammazione dell’articolazione con formazione di calcificazioni. Colpisce in prevalenza le donne e richiede una cura a base di farmaci antinfiammatori e trattamenti di fisioterapia
Quando si parla di periartrite si intende di solito una infiammazione generica che colpisce una articolazione della spalla e provoca un irrigidimento. Spesso è una condizione cronica che riguarda l’articolazione scapolo omerale, ma può interessare anche i tendini e la borsa subraconiale. «In realtà sono patologie differenti della spalla che, per semplificazione, si identificano con il termine di periartrite – spiega a Sanità Informazione il professor Giuseppe Peretti, responsabile dell’Equipe universitaria di Ortopedia Rigenerativa e Ricostruttiva (E.UO.R.R) dell’IRCCS Ospedale Galeazzi- Sant’Ambrogio di Milano – . Per una corretta cura è opportuno però che l’ortopedico faccia una diagnosi precisa e riconosca la natura dell’infiammazione».
Scoperta nel 1930 dal chirurgo Ernest Codman, la periartrite si stima che colpisca nell’arco della vita una persona su tre e, nella maggior parte dei casi, si tratta di donne tra i 35 e i 70 anni. Non si conoscono però le cause che danno origine alla periartrite. «Può essere associata a patologie legate alla tiroide, ma è frequente anche nei pazienti che soffrono di diabete, oppure che hanno subito un trauma che li ha costretti a una lunga immobilità» dice Peretti. Di solito ad essere soggette alla periartrite sono le persone che, per la propria attività lavorativa o ricreativa, utilizzano con frequenza la spalla e sono dunque maggiormente esposte, come il personale di servizio, la parrucchiera, chi pratica tennis o fa body building. Anche lo stress può essere all’origine di una periartrite.
Il primo sintomo è il dolore, intenso e duraturo tale da rendere invalidante l’arto e di conseguenza generare uno stato di depressione nel paziente. «Il dolore fa parte del quadro clinico delle periartriti-, sottolinea ancora il responsabile dell’Ortopedia Rigenerativa del Galeazzi – . Spesso si presenta anche con una rigidità articolare, infatti il paziente dapprima ha un dolore acuto che limita l’articolazione nelle normali funzioni della vita».
Raggiungere un oggetto, pettinarsi, allacciarsi la cintura di sicurezza in macchina, sono tutti movimenti che possono causare un forte dolore e, a seguire, un vero e proprio irrigidimento meccanico. «Quindi un effetto di spalla congelata – puntualizza Peretti -. In questo particolare tipo di periartrite ad infiammarsi è la capsula, ovvero quel manicotto che circonda l’articolazione della spalla». Si irrigidisce e diventa così una limitazione funzionale dei movimenti. «Di solito dopo una prima fase di dolore acuto, il dolore diminuisce, ma persiste la fase di immobilità che si può anche protrarre nel tempo» aggiunge Peretti.
Dal momento che l’origine della malattia può essere molto varia, è bene fare una diagnosi corretta per poi agire con la cura più opportuna. «Per numero di casi quella più frequente è la periartrite calcifica – analizza l’esperto – che si cura certamente con farmaci antinfiammatori e antidolorifici, ma è sempre fondamentale conoscerne l’origine e l’entità per tarare sul paziente la cura più adatta. Quando si è di fronte a dolori recidivanti dovuti a calcificazioni, allora è necessario attuare dei trattamenti mirati».
Per la corretta diagnosi viene effettuata inizialmente una ecografia che «permette di studiare la borsa, di identificare versamenti a livello delle guaine tendinee, un eccessivo quantitativo di liquido nella borsa sotto l’acromiale, e valutare la eventuale presenza di lesioni tendinee», aggiunge Peretti. Per meglio identificare eventuali calcificazioni si associa poi una radiografia. «Di solito si combinano i due esami per studiare lo spazio sopra la testa omerale – fa notare l’esperto – e quindi per una visione più completa dei rapporti tra le varie componenti ossee».
Si effettua invece una risonanza magnetica nucleare per valutare la presenza di edema osseo o di liquido in eccesso a livello delle diverse strutture, ma anche la qualità dei tessuti molli, come i muscoli o i tendini, o per riconoscere una patologia cronica, dove ad esempio parte del tessuto muscolare sia stato sostituito da tessuto adiposo. «In ogni caso è spesso necessario, non solo programmare una cura a base di antinfiammatori, ma anche inserire nel trattamento della patologia un adeguato programma di fisioterapia – puntualizza l’ortopedico -, fondamentale per mantenere il tono muscolare e per il progressivo recupero dell’elasticità della capsula articolare».
Tra le terapie più utilizzate, oltre agli antinfiammatori, ci sono trattamenti locali, come infiltrazioni, «che riducono il dolore e vanno ad agire anche sulle calcificazioni» dice lo specialista; oppure le onde d’urto o il trattamento chirurgico. Tra le terapie strumentali le più diffuse sono: tecarterapia, ultrasuoni e ionoforesi. «Di solito l’evoluzione è benigna – conclude Peretti – .Il dolore si risolve e l’infiammazione si spegne, ma si può sempre ripresentare a distanza di tempo, non è scontato, ma può succedere. Infatti, la fisioterapia e la terapia antinfiammatoria possono migliorare il quadro clinico, ma non necessariamente risolvere la presenza delle calcificazioni che devono essere trattate con tecniche strumentali o talvolta con la chirurgia».
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