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Tutto ciò che c’è da sapere sul vaiolo delle scimmie, l’infezione virale che viene dall’Africa e ha fatto scattare l’allarme in tutto il mondo
Il primo caso nazionale di vaiolo delle scimmie è stato diagnosticato ieri all’Istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Lo ha contratto un giovane italiano di ritorno da un viaggio alle isole Canarie. Oggi, i casi confermati sono saliti a tre. Il ministro Roberto Speranza è stato aggiornato, i centri specialistici sono stati allertati e l’ISS ha affidato la gestione della situazione ad un gruppo di esperti.
Ma cos’è il vaiolo delle scimmie, l’infezione virale che ha fatto scattare un altro allarme epidemico nel mondo? Si tratta di una malattia comune e diffusa nell’Africa centrale e occidentale, soprattutto in Congo, Ghana e Nigeria. È causata dal Monkeypox virus che appartiene al gruppo degli orthopoxvirus. Il nome deriva dalla scoperta nelle scimmie da laboratorio perché è causata dallo stesso virus del vaiolo. Dagli studi sugli animali in Africa sono emerse evidenze d’infezione negli scoiattoli. Si ritiene, infatti, che svolga un ruolo importante come ospite naturale della malattia. Ma l’infezione da vaiolo delle scimmie di verifica anche in ratti, topi e conigli.
Il monkeypox può passare dall’animale all’uomo e poi da un individuo all’altro. La possibilità di contagiarsi è inferiore rispetto al temuto Sars-Cov-2 o ad altre malattie respiratorie. Richiede, infatti, un contatto stretto o un contatto sessuale. Si può trasmettere con droplets e liquidi organici di una persona infetta tramite piccole lesioni della pelle e delle mucose. Dai casi segnalati e da quanto riporta l’Ecdc, la diffusione sembra essere maggiore nei giovani MSM (maschi che fanno sesso con maschi).
La trasmissione da uomo a uomo del virus avviene con un periodo di incubazione di circa 12-13 giorni (può variare da 5 a 21 giorni). La malattia si manifesta con febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena e stanchezza. Ma anche linfonodi gonfi, malessere generale e spossatezza. Tra i campanelli d’allarme piccole macchie sulla pelle che, a due-tre giorni dall’insorgenza della febbre, portano un’eruzione cutanea pustolare pruriginosa e dolorosa con vescicole simili a quelle della varicella. Di solito, appare prima sul volto per poi diffondersi su altre parti del corpo. Dura, generalmente dalle due alle quattro settimane.
Non esiste un trattamento specifico per il vaiolo delle scimmie. Inoltre, sembra che il rischio di contrarre l’infezione si riduca nelle persone già vaccinate per il vaiolo. Si stanno anche valutando farmaci antivirali, come il cidofovir, per il trattamento. È importante precisare che la malattia si risolve quasi sempre da sola, con adeguato riposo e senza l’uso di farmaci. Non è pericolosa se non per le persone immunodepresse e con un sistema immunitario compromesso.
La vaccinazione contro il vaiolo umano è stata obbligatoria fino al 1981 in Italia. E, la domanda che tutti si fanno in questi giorni è se chi l’ha fatta possa avere una protezione anche contro il vaiolo delle scimmie. A rispondere è l’ISS: «È possibile che le persone che non sono state vaccinate contro il vaiolo siano a maggior rischio di infezione con il monkeypox per l’assenza di anticorpi che, per la similitudine del virus del vaiolo con il monkeypox, possono essere efficaci a contrastare anche questa virosi».
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