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A causa dei cambiamenti climatici si è sviluppata una nuova problematica psicologica. Quali sono i sintomi e come riconoscerli? Le risposte (e alcuni consigli) in un e-book formativo
Il cambiamento climatico si configura come una delle sfide più pressanti e rilevanti del nostro tempo, con impatti globali che coinvolgono una serie di fattori atmosferici, tra cui la temperatura, i fenomeni meteorologici estremi e l’equilibrio ecologico del nostro pianeta. Questo fenomeno è caratterizzato da un aumento delle temperature e delle precipitazioni, nonché da variazioni nei parametri atmosferici come pressione e umidità, con conseguenze significative sul ritiro dei ghiacciai e sull’innalzamento del livello del mare.
La comunità scientifica è unanime nel riconoscere i gas serra come la principale causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici su scala mondiale. Sebbene in passato le emissioni fossero principalmente di origine naturale, legate a eventi come eruzioni vulcaniche, incendi boschivi e attività sismiche, oggi è l’attività umana, in particolare legata all’industrializzazione e all’agricoltura intensiva, a contribuire in modo significativo a tali emissioni, attraverso l’uso di combustibili fossili e la deforestazione.
L’Accordo di Parigi, stipulato durante la Conferenza delle Parti (COP-21) nel 2015, rappresenta un impegno cruciale per affrontare il cambiamento climatico e promuovere un futuro sostenibile a basse emissioni di carbonio. Questo accordo stabilisce obiettivi chiari, tra cui il mantenimento dell’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, con uno sforzo per limitarlo a 1,5 °C.
Tuttavia, il rapporto più recente dell’Intergovernmental Panel on Climate Change mette in evidenza che il cambiamento climatico è già in corso e sta influenzando ogni regione del mondo. Si sottolinea pertanto l’urgenza di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro questo decennio e di attuare misure di adattamento per affrontare le conseguenze, che si fanno sempre più gravi.
Come spiegato nell’e-book formativo “Ecoansia: effetti del mutamento climatico sul benessere psicologico”, presente sulla piattaforma Consulcesi Club (3 crediti ECM, responsabile scientifico dott. Stefano Lagona, Psicologo psicoterapeuta), gran parte delle ricerche si sono concentrate sugli effetti fisici del cambiamento climatico, trascurando spesso la dimensione della salute mentale. Gli studi indicano che lo stress derivante dagli impatti climatici può avere conseguenze significative sul comportamento, lo sviluppo, la memoria e le funzioni cognitive dei bambini. D’altra parte, gli adulti possono manifestare disturbo da stress post-traumatico, ansia, abuso di sostanze e depressione, insieme a sentimenti di aggressività, violenza e impotenza.
Gli impatti psicologici del cambiamento climatico, sebbene non sempre evidenti, sono estremamente seri e meritano la stessa attenzione riservata alle conseguenze fisiche, come le malattie e la fame. Affrontare tali sfide richiede un approccio globale e multidisciplinare che consideri sia gli aspetti fisici che le implicazioni psicologiche del cambiamento climatico.
L’attenzione pubblica si è da tempo concentrata sulle implicazioni del cambiamento climatico sulla salute mentale, ma è importante distinguere tra gli effetti a breve e lungo termine sul nostro benessere psicologico. È comprensibile come lo sviluppo di un disturbo post-traumatico da stress in seguito a un’alluvione o una frana possa essere considerato una conseguenza a breve termine del cambiamento climatico, mentre l’ecoansia rientra tra gli scenari a lungo termine.
Nel 2016, un rapporto del governo degli Stati Uniti nel contesto del Programma di Ricerca sul Cambiamento Globale ha esaminato numerose ricerche per fornire una panoramica delle conoscenze attuali. Questo rapporto analizza gli impatti diretti e indiretti del cambiamento climatico sulla salute mentale, descrivendo come influenzi il benessere psicologico delle persone sia a breve che a lungo termine, con effetti acuti e cronici. In particolare, evidenzia come lo stress si accumuli dopo una catastrofe e come le calamità naturali influiscano sulle relazioni sociali, con conseguenze sulla salute e il benessere.
Vi sono anche effetti individuali dei cambiamenti climatici che si manifestano in modo graduale e portano all’aumento di aggressività e violenza, crisi nell’identità e allo sviluppo di emozioni negative a lungo termine. Un’analisi iniziale della letteratura rivela una correlazione tra disastri ambientali e psicopatologia, caratterizzata dallo sviluppo di sintomi ansiosi, fobie, abuso di alcol o droghe e depressione.
Come è comprensibile, lo stress traumatico acuto emerge come il problema di salute mentale più evidente durante e dopo un disastro ambientale.
Il termine “ecoansia” è un neologismo che deriva dalla combinazione delle parole “ecologica” e “ansia” e si riferisce a un insieme di emozioni dolorose e di angoscia suscitate dalle attuali e future turbolenze ambientali. Concretamente, ciò si traduce in sentimenti di tristezza, depressione, ansia e angoscia di fronte alla crisi ambientale e alle sue conseguenze.
Sebbene il concetto di ecoansia sia relativamente recente, ha attirato sempre più l’attenzione dei ricercatori. Attualmente, non esiste una definizione univoca, ma vale la pena esaminare quella proposta da un gruppo di ricercatori oceaniani (Università di Canberra, Australian National University e Victoria University di Wellington) nel loro studio intitolato “The Hogg Eco-Anxiety Scale: development and validation of a multidimensional scale“, pubblicato nel novembre del 2021. In questo lavoro, l’ecoansia è descritta come: “Un termine che comprende le esperienze di ansia legate alle crisi ambientali e che definisce l’ansia legata al cambiamento climatico (ansia specificamente correlata al cambiamento climatico antropogenico, compreso il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare e l’incremento degli eventi meteorologici estremi e delle catastrofi naturali) […] oltre all’ansia legata a una molteplicità di calamità ambientali, che possono o meno essere direttamente causate dal cambiamento climatico, tra cui l’eliminazione di interi ecosistemi e specie vegetali e animali, l’inquinamento su scala globale e la deforestazione”.
Il termine “ecoansia” è stato coniato per la prima volta nel 1997 dalla ricercatrice belga-canadese Véronique Lapaiège per descrivere il sentimento di preoccupazione, inquietudine e ansia vissuto da alcune persone in relazione alla situazione attuale di sconvolgimento climatico e alle minacce che gravano sull’ambiente e su tutte le creature viventi. Quest’ansia è principalmente di natura anticipatoria, rappresentando una forma di stress pretraumatico intrinsecamente insidioso, poiché legato all’imprevedibilità. Si manifesta attraverso sintomi ricorrenti come ansia, sensazione di impotenza e pessimismo, che possono portare a depressione, catastrofismo, insonnia e ritiro sociale.
L’ecoansia può manifestarsi in vari modi, tra cui ansia, stress, tristezza, senso di impotenza, disperazione e senso di colpa. Può anche avere un impatto sulla salute mentale, contribuendo a depressione, disturbi del sonno, disturbi alimentari e dipendenza da sostanze. Si osserva una maggiore concentrazione di questo fenomeno tra i giovani, preoccupati per il loro futuro e quello del pianeta, con l’età giovane e l’esposizione mediatica come principali fattori di rischio.
I sintomi che possono indicare l’ecoansia includono la solastalgia (ovvero il dolore o il malessere causato dall’assenza di consolazione e dal senso di isolamento provocati dagli eventi legati ai mutamenti climatici, nonché una forma d’ansia per i luoghi che diventano inaccessibili), difficoltà nelle relazioni quotidiane con chi non attribuisce sufficiente importanza ai cambiamenti climatici, crisi di ansia affrontando tematiche ambientali e nervosismo legato al comportamento individuale rispetto alla crisi ambientale globale.
Sebbene a lungo trascurate nel dibattito pubblico, l’ecoansia e la solastalgia hanno suscitato crescente interesse negli ultimi anni, riconosciute come questioni serie di salute pubblica, psicologica e sociologica. Uno studio significativo pubblicato su The Lancet Planetary Health nel settembre del 2021 ha coinvolto 10mila giovani dai sedici ai venticinque anni in dieci Paesi, rivelando che il 45% dei partecipanti ha dichiarato che i loro sentimenti riguardo al cambiamento climatico influenzano negativamente la loro vita quotidiana. Il 75% ha una visione spaventosa del futuro, mentre il 56% crede che l’umanità sia condannata.
L’ecoansia può assumere forme diverse, compresa la speranza, e può essere collegata a una vasta gamma di emozioni, tra cui preoccupazione, paura, rabbia, dolore, disperazione, colpa e vergogna. La colpa, in particolare, è stata identificata come un sentimento diffuso, con l’83% dei partecipanti che ritiene che le persone abbiano fallito nel prendersi cura del pianeta. Misurare con precisione i livelli di ecoansia in tutto il mondo è attualmente difficile, ma è certo che esista e colpisca soprattutto i giovani, il che comporta la necessità di una maggiore consapevolezza e ricerca su questo tema critico.
Come evidenziato, il cambiamento climatico non è più una minaccia remota e inimmaginabile, ma una realtà in crescita per le comunità globali. Pertanto, è essenziale considerare come comunità e individui possano prepararsi per ridurre le sofferenze e promuovere la resilienza di fronte agli impatti sfidanti del cambiamento climatico.
A livello individuale, la resilienza si costruisce attraverso strategie di coping, autoregolazione e reti di supporto sociale nella comunità. La maggior parte delle persone supera le avversità con adattamento positivo, evitando patologie psicologiche. Alcune possono persino sperimentare la “crescita post-traumatica,” uscendo da perturbazioni significative con un senso di apprendimento positivo.
Tuttavia, la gestione e il trattamento dell’ecoansia, essendo un fenomeno nuovo, sono ancora oggetto di dibattito. È evidente la necessità di accettare e normalizzare le emozioni legate al clima, ma gli studi futuri dovranno concentrarsi sulle conseguenze del fenomeno e sui possibili rimedi.
Attualmente, manca un approccio scientificamente strutturato per affrontare l’ecoansia. Tuttavia, gli studiosi concordano sul fatto che il primo passo per ridurre i livelli di ecoansia e potenziare le capacità di adattamento è agire in modo mirato sui comportamenti quotidiani. Ciò non richiede rivoluzioni drastiche, ma l’implementazione di obiettivi concreti a breve e medio termine.
L’adozione di piccole azioni quotidiane a favore dell’ambiente, come la riduzione dei rifiuti o l’uso limitato delle auto private, insieme alla partecipazione attiva a iniziative ecologiche locali come la pulizia di spiagge o parchi, può consentire alle persone di adottare un approccio proattivo. Tale coinvolgimento attivo può contrastare il senso di impotenza e ansia, restituendo alle persone un senso di controllo sulla situazione ambientale attuale.
Un’altra strategia per gestire l’ecoansia implica l’identificazione di un supporto sia psicologico che ideologico. La condivisione dei propri vissuti emotivi con familiari, amici o professionisti della salute mentale rappresenta un approccio valido. Inoltre, l’adesione a gruppi di supporto o organizzazioni orientate all’ambiente può risultare benefica.
È importante però esercitare cautela riguardo alla narrazione predominante in tali contesti, evitando un atteggiamento eccessivamente catastrofista, poiché ciò potrebbe aumentare i sintomi legati all’ecoansia.