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Psicologia e Salute Mentale 22 Novembre 2022

Quando il bisogno di piacere agli altri compromette la libertà di scelta

Imparare a piacere a sé stessi e non solo agli altri è un traguardo importante, che restituisce alla persona la capacità di andare nella direzione che sceglie, fare ciò che ama davvero, riconoscendo il proprio valore indipendentemente dallo sguardo di benevolenza dell’altro

di Stefania Tempesta, psicologa Odp Lazio
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Mi capita frequentemente di ascoltare persone che nutrono un forte rimpianto verso il passato. Sorprendentemente, non c’è nulla nei loro racconti che faccia pensare a grandi occasioni gettate al vento, o amicizie finite male, o peggio amori perduti per incuria o distrazione. Niente di tutto questo.

Rabbia e rimpianti per confortare o piacere agli altri

Allora perché il rimpianto? Ciò che mi colpisce è l’emozione di rabbia che molti provano per aver passato la vita cercando di piacere agli altri, mettendo a disposizione tempo ed energie allo scopo di ricevere apprezzamento e gratificazione. Alcuni di noi sono dei veri maestri del “piacere agli altri”: cercano di adattarsi ai gusti musicali degli amici per sentirsi benvoluti in un gruppo. Sono accondiscendenti verso le richieste dei parenti per essere considerati dei “bravi familiari”. Fanno in modo di essere sempre disponibili se qualcuno chiede una mano e offrono il loro aiuto anche quando non viene richiesto. Insomma, il ricordo va inevitabilmente ai passaggi di una vita in cui si sono fatte tante cose che non si volevano fare davvero, ma che sono state compiute per confortare o compiacere gli altri.

Il bisogno di risultare sempre piacevoli ci rende stanchi e frustati

Piacere agli altri è un bisogno umano, siamo esseri che vivono in relazione, ove facciamo esperienza dell’amore, dell’amicizia, del confronto, conosciamo il nostro mondo emotivo e riconosciamo la nostra interiorità. Il desiderio di risultare sempre piacevoli rischia però di sbilanciarci verso l’esterno e farci perdere l’equilibrio. È un po’ come se volessimo spostare il baricentro all’esterno del nostro corpo e proiettarlo nel corpo di un altro pretendendo di mantenerci in posizione eretta.

In effetti quando cerchiamo la conferma da parte degli altri siamo protesi in avanti, con la nostra attenzione rivolta a indagare ciò che le altre persone provano, pensano o percepiscono di noi. Ci occupiamo di essere come loro vorrebbero che fossimo, tenendo bene a mente le loro preferenze e cercando anche di essere pronti a soddisfarne le necessità.

C’è da chiedersi se sforzarsi di essere sempre accomodanti sia vantaggioso. Ebbene, non c’è da farsi illusioni: ne usciremo stanchi e forse anche un po’ frustrati.

Ciò che gli altri pensano di noi non ci definisce e non tratteggia lontanamente l’immagine di noi stessi; le opinioni degli altri non sono altro che percezioni filtrate attraverso lenti, aspettative o sistema di convinzioni che non ci appartengono. Se siamo bravi, competenti, onesti o generosi lo saremo non perché gli altri la pensino così, ma perché per noi è giusto essere così. Adeguarci agli standard di bellezza o di intelligenza che hanno le altre persone ci rende un po’ prigionieri di idee e percezioni di cui non abbiamo il controllo e che deviano la nostra attenzione al di fuori. Ci concentriamo così sulle mille opinioni che altri potrebbero esprimere su di noi, trascurando completamente ciò che vogliamo davvero.

Quali sono le cause del continuo bisogno di ricevere segnali di approvazione?

Tra le motivazioni, ci sono:

  • Il bisogno di appartenenza: il gruppo rappresenta una risorsa. Fornisce protezione e ci consente di provare quel senso di appartenenza che è un bisogno umano fondamentale. Essere apprezzati e ricevere riconoscimento per il proprio operato dai membri del nucleo sociale a cui si fa riferimento ci gratifica, ci fa sentire più forti, e al sicuro, accanto a persone che condividono i nostri pensieri e sentimenti.
  • Paura del rifiuto: per paura di essere rifiutate molte persone diventano particolarmente premurose nei confronti degli altri e svolgono funzione di accudimento verso chiunque entri in relazione con loro. L’obiettivo è risultare piacevoli preoccupandosi di fare regali, mantenere contatti frequenti e soprattutto fornire la propria disponibilità incondizionata.
  • Senso di colpa: essere attenti ai bisogni degli altri trascurando i propri diventa per molti un modo per evitare il senso di colpa. Meglio essere altruisti, generosi e caritatevoli facendosi carico delle priorità altrui, piuttosto che sentirsi un cinico egoista che manifesta le proprie esigenze.
  • Incapacità di dire di no: molte persone sentono di avere una grande difficoltà nel dire di no agli altri. Anche una proposta che lascia aperta la possibilità di rifiutare assume così il valore di un obbligo a cui diventa impossibile sottrarsi e si finisce con l’accettare di fare tante cose con grande sforzo e persino riluttanza, piuttosto che rifiutare.
  • Imperativo morale: l’abitudine di piacere alle persone nasce spesso dal desiderio di mantenersi fedeli ai principi che riteniamo essere giusti. Essere comprensivi e compassionevoli può farci sentire persone migliori, fin quando non rinunciamo a prenderci cura di noi stessi con l’unico obiettivo di rispettare una norma morale.

Cosa succede quando orientiamo il nostro comportamento

Quando orientiamo il nostro comportamento solo per risultare gradevoli agli occhi degli altri, probabilmente noteremo che qualcosa non quadra. E potranno emergere:

  • Sofferenza nelle relazioni: è possibile che emergano sentimenti spiacevoli nei confronti delle persone con cui si è in relazione. Insofferenza per chi ha espresso delle richieste, o risentimento verso sé stessi per essere sempre accondiscendente e remissivo.
  • Disagio personale: quando tempo ed energie vengono convogliate nel rendere soddisfatti gli altri, è probabile che emerga un senso di frustrazione e vuoto ed emozioni di rabbia e ansia. La lista delle cose da fare si allunga sempre di più e forse non si vedrà mai la fine.
  • Arresto della crescita personale: se si dimenticano i propri desideri, sicuramente si trascureranno le proprie esigenze e si smetterà di perseguire i propri obiettivi.

Cosa fare?

E’ importante:

  • Stabilire sani confini: i confini tra noi e gli altri sono devono essere ben definiti se vogliamo che i rapporti interpersonali siano soddisfacenti. Smettere di preoccuparsi di ferire o turbare gli altri e imparare a chiedersi ciò che si vuole davvero ci dà modo di definire il nostro spazio, tracciando le linee del rispetto verso noi stessi e di un amor proprio che ci renderà finalmente visibili.
  • Attivare il rispetto per sé stessi: in genere vogliamo che gli altri si accorgano di noi e ci portino rispetto, ma poi siamo proprio noi a comportarci come se fossimo la ruota di scorta. Inoltre, si attribuisce agli altri la responsabilità di farci sentire amati e apprezzati, mentre trascuriamo costantemente di guardarci dentro e dedicarci amore e attenzione. Si può cominciare dalle piccole cose: parlare gentilmente a noi stessi, riconoscere i piccoli successi che otteniamo nella vita quotidiana, anche quelli apparentemente banali, apprezzare i complimenti senza sminuire ciò che abbiamo fatto per meritarli ed essere felici per aver compiuto delle azioni che corrispondono ai nostri intenti.
  • Dire di no: imparare a dire di no è un compito difficile, che richiede tempo e impegno. Le cattive abitudini non si dissolvono in un istante, bisogna cercare di cambiarle facendo un passo alla volta. Decidiamo innanzitutto di prendere tempo ogni volta che qualcuno ci chiederà qualcosa, e dedicarci al nostro sentire: se accettiamo, ci sentiamo a nostro agio? Quanta fatica richiederà il compito richiesto? Quanto dispendio di tempo? È davvero necessario il nostro aiuto in quel caso specifico?
  • Comunicazione assertiva: molti finiscono per essere sempre accondiscendenti per timore di risultare aggressivi o scortesi. In realtà, la fermezza va d’accordo con la cortesia e ci si può rifiutare semplicemente esprimendo una propria preferenza. Si può buttare giù qualche formula che possa tradursi in una comunicazione chiara e insieme gentile. Ad esempio “Ti ringrazio per l’invito, ma sono molto occupato questo week end”, oppure “Grazie, questa sera resterò in casa a riposarmi, mi sento molto stanco”. Inoltre, è opportuno sviluppare la capacità di fare richieste, in modo chiaro ed esplicito, che non lascino dubbi nell’interlocutore: “Ho bisogno di concentrazione, per favore allontanati dalla stanza per parlare al telefono” è un buon esempio di comunicazione efficace, cioè un messaggio che esprima il nostro bisogno in una determinata circostanza.

Imparare a piacere a sé stessi è un traguardo importante, che restituisce alla persona la capacità di andare nella direzione che sceglie, fare ciò che ama davvero, riconoscendo il proprio valore indipendentemente dallo sguardo di benevolenza dell’altro. Il cambiamento è sempre possibile ed implica un cammino di consapevolezza che può richiedere impegno e pratica quotidiana, ma da cui otterremo serenità e appagamento.

 

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