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Gli utilizzatori di vaporizzatori personali (e-cig) in Italia hanno raggiunto il milione e in tanti chiedono delucidazioni su vapore emesso dalle e-cig e diffusione del covid-19 a seguito di alcune notizie circolate nei giorni scorsi. Sono centinaia le telefonate arrivate al centralino dell’ANPVU, l’Associazione Nazionale per i Vapers Uniti, impegnata nella diffusione di notizie medico-scientifiche […]
Gli utilizzatori di vaporizzatori personali (e-cig) in Italia hanno raggiunto il milione e in tanti chiedono delucidazioni su vapore emesso dalle e-cig e diffusione del covid-19 a seguito di alcune notizie circolate nei giorni scorsi.
Sono centinaia le telefonate arrivate al centralino dell’ANPVU, l’Associazione Nazionale per i Vapers Uniti, impegnata nella diffusione di notizie medico-scientifiche ed esperienze dirette sulla validità dell’utilizzo dei vaporizzatori come mezzi per la riduzione del danno da fumo combusto.
A fare chiarezza, è intervenuto il Professor Fabio Beatrice, Direttore del Centro antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, uno dei maggiori esperti nazionali sull’argomento, per rimettere le informazioni diffuse all’interno di un rigoroso seminato scientifico allo scopo di correggere le informazioni parziali che hanno allarmato il milione di utenti che è passato alla sigaretta elettronica per limitare i danni sulla propria salute.
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Tutti gli studi fino ad oggi pubblicati suggeriscono che il COVID-19 viene trasmesso principalmente attraverso le goccioline respiratorie (droplets) di persona infetta a distanza ravvicinata a seguito di un colpo di tosse o di uno starnuto o parlando. Più raro il contagio attraverso le superfici infette (Cheng et al., 2020; Lewis, 2020; Schwartz, 2020).
IL VIRUS SI PUO’ TRASMETTERE CON IL VAPORE DELLE E-CIG – FALSO
«Il professore emerito Neal Benowitz del Centre for Tobacco Control Research and Education dell’University of California di San Francisco si è già espresso sull’argomento – sostiene il professor Beatrice – spiegando che le sigarette elettroniche non presentano alcun rischio di diffondere il virus a meno che non si sia positivi e si tossisca mentre si esala il vapore. Va precisato inoltre che ciò che viene espirato dalle sigarette elettroniche non è saliva ma vapore, glicole propilenico, glicerina e sostanze chimiche aromatizzanti in cui possono essere presenti particelle microscopiche di saliva in quantità così trascurabili da non poter ragionevolmente veicolare il virus. Uno svapatore positivo al Covid-19 non può essere considerato un vettore del virus a meno che non tossisca nel momento esatto in cui espira il vapore.
Aggiungerei – prosegue Beatrice – che mi pare quanto meno singolare l’idea che si possa svapare in presenza di soggetti terzi dal momento che l’indicazione del decreto parla dell’utilizzo di mascherine obbligatorio in presenza di altre persone, come strumento di protezione per tutti specialmente nei luoghi di lavoro dove saranno applicati protocolli severi. Chi vuole usare la e-cig dovrà farlo quindi da solo e possibilmente all’esterno così indicano le norme del divieto di fumo negli ambienti di lavoro».
IL VIRUS VIAGGIA LEGANDOSI AL PARTICOLATO ATMOSFERICO – FALSO
Ultimamente sono state divulgate ipotesi teoriche, non confermate da alcuna evidenza sperimentale, che ipotizza che il particolato atmosferico possa essere un supporto (carrier) per la diffusione del virus per via aerea. Questa ipotesi non ha plausibilità biologica. Infatti, pur riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche (batteri, spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali), appare poco plausibile che i Coronavirus possano mantenere intatte le loro caratteristiche morfologiche e le loro proprietà infettive dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente. Temperatura, essiccamento e UV danneggiano infatti l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare. L’aspetto è oltremodo delicato perché la diffusione non corretta di fantasiose ipotesi, non suffragate da evidenza scientifica, può essere molto fuorviante nella comunicazione del rischio ad una popolazione, già disorientata e allarmata. Le modalità di trasmissione, così come la prevenzione del contagio, dovrebbero essere comunicate con estrema attenzione e scientificità solo dagli organi competenti e dalle Istituzioni perché sono attualmente l’aspetto più importante per il contenimento e controllo della diffusione dell’infezione.
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L’INQUINAMENTO TRASMETTE IL VIRUS – FALSO
I dati disponibili relativi all’epidemia mostrano che le classi di età di gran lunga più colpite (in termini sia di casi che di decessi) sono quelle adulto-anziane. In Italia infatti l’età media dei casi è di 62 anni (con circa l’1% dei casi con età <18 anni). Il ridotto numero di casi COVID-19 nella popolazione infantile appare non suffragare l’ipotesi di una azione favorente degli inquinanti (se inquinamento c’è colpisce tutti).
Il legame tra Covid 19 e inquinamento atmosferico, in particolare da polveri sottili PM 10 deve essere letto nel senso che l’esposizione a PM 10 nel corso degli anni indebolisce i polmoni, aumenta i danni cumulativi a carico dell’apparato respiratorio e lo espone a maggiori criticità nella polmonite interstiziale da covid-19 così come chiarito dall’Harvard University T.H. Chan School of Public Health.
«La complessità del fenomeno – sottolinea l’ISS – insieme alla parziale conoscenza di alcuni fattori che possono giocare o aver giocato un ruolo nella trasmissione e diffusione dell’infezione SARS-CoV2, rendono al momento molto incerta una valutazione di associazione diretta tra elevati livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione dell’epidemia COVID-19, o del suo ruolo di amplificazione dell’infezione. Uno studio potrà essere svolto con il corretto approccio scientifico, solo quando l’epidemia e l’emergenza saranno terminate e potranno essere disponibili tutte le conoscenze sulle variabili/fattori utili ad analizzare il fenomeno, effettuando anche un’analisi comparativa su scala più ampia quale quella europea e internazionale».
CHI VIVE IN AREE INQUINATE PRESENTA MAGGIORE SENSIBILITA’ POLMONARE A CAUSA DELL’INSULTO CRONICO – VERO
Esistono anche indicazioni sul fatto che pazienti di coronavirus che vivevano nelle aree ad alto inquinamento già da prima della pandemia, avessero maggiori probabilità di gravi complicazioni e di exitus a causa dell’infezione rispetto a pazienti che invece erano vissuti in aeree più pulite degli Stati Uniti. È quanto emerge da un’analisi che prova come elevati livelli di particelle PM 2.5 siano associati a tassi di moralità più elevati per il coronavirus. Lo studio di Harvard è il primo a livello nazionale americano a mostrare un link statistico che rivela sovrapposizione fra le morti da coronavirus e altre malattie associate all’esposizione di lungo termine alle PM 2.5 che quindi risulta perfettamente coerente con una ipotesi di maggiore sensibilità respiratoria degli anziani. A livello globale, i principali effetti sanitari correlati all’inquinamento dell’aria indoor e outdoor sono relativi all’aumento delle Malattie non trasmissibili-Non Communicable Deseases (NCD), che includono principalmente le malattie croniche del sistema cardiocircolatorio quali le malattie ischemiche del cuore (infarto miocardico, ictus cerebrale), quelle dell’apparato respiratorio, come l’asma, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) che porta ad una maggiore predisposizione alle infezioni respiratorie, e il cancro del polmone per esposizioni sul lungo periodo.
L’ESPOSIZIONE ALL’INQUINAMENTO AUMENTA IL RISCHIO DI MALATTIE E MORTE – VERO
Vivere in aree urbane dove l’inquinamento atmosferico è elevato incide sullo stato di salute generale della popolazione, come dimostrano gli studi di numerosi gruppi di ricercatori scientifici nazionali e internazionali.
L’Agenzia Ambientale Europea (EEA) ogni anno produce un report sul Burden of Desease dell’inquinamento atmosferico in Europa in base ai livelli di concentrazione dei singoli inquinanti misurati (PM2,5, NO2 e O3) dalle diverse centraline di monitoraggio dell’aria presenti nei diversi paesi (concentrazioni variabili anche in funzione delle condizioni meteorologiche e del numero e della qualità di funzionalità delle centraline). Nel report 2019 l’EEA ha stimato per l’Italia circa 60.000 morti premature per esposizione a PM2,5. «Purtroppo – – spiega il Presidente ANPVU Carmine Canino – gli utilizzatori di sigaretta elettronica sembrano nel mirino quasi più dei fumatori tradizionali e sono spesso oggetto di stigma. L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di far sì che si attuino politiche sanitarie in grado di informare le masse dei danni reali legati al fumo e della possibilità di liberarsi dalla dipendenza dal fumo attraverso metodi meno dannosi appoggiati dalla comunità scientifica. Gli utilizzatori di e-cig sono persone che hanno fatto una scelta per proteggere la propria salute e sono mediamente più attenti a proteggere quella dei propri congiunti. La nostra associazione è oggi in prima linea per veicolare informazioni scientifiche corrette a supporto delle politiche internazionali che vedono negli strumenti alternativi al tabacco una opportunità per passare a stili di vita meno dannosi».
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