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L’acromegalia è una malattia endocrinologica rara di cui si sente parlare molto poco e la cui diagnosi, spesso, arriva con grande ritardo. È caratterizzata da un’eccessiva produzione dell’ormone della crescita (GH) che determina una progressiva crescita delle mani e dei piedi ed un cambiamento della fisionomia della persona colpita. Il dottor Maurizio Poggi (Dirigente medico di […]
L’acromegalia è una malattia endocrinologica rara di cui si sente parlare molto poco e la cui diagnosi, spesso, arriva con grande ritardo. È caratterizzata da un’eccessiva produzione dell’ormone della crescita (GH) che determina una progressiva crescita delle mani e dei piedi ed un cambiamento della fisionomia della persona colpita.
Il dottor Maurizio Poggi (Dirigente medico di Endocrinologia dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma) ci ha descritto i sintomi dell’acromegalia e l’importanza delle nuove tecnologie come supporto all’endocrinologo nella gestione della terapia e per il follow up di questi pazienti.
Dottore, quali sono i sintomi di questa patologia rara e quali sono oggi le terapie?
«I sintomi più classici di questa sono patologia rara sono caratterizzati dal cambiamento delle caratteristiche fisionomiche di questi pazienti: sono tutte a carico del viso, delle mani e dei piedi. Purtroppo, con il passare degli anni, sopraggiungono sintomi a carico del sistema cardiovascolare, del metabolismo e delle ossa. È una malattia che, purtroppo, ancora oggi, nonostante un miglioramento delle conoscenze, arriva a diagnosi con grande ritardo, un ritardo stimato tra i 7 e i 10 anni».
Qual è l’incidenza della malattia in Italia?
«L’incidenza è quella di una malattia rara, parliamo di 3-5 casi su 100 mila abitanti. Sicuramente si tratta di una malattia rara, ma comunque con tanti pazienti che non vengono riconosciuti per una mancata sensibilizzazione soprattutto di tutte quelle specialistiche che possono venire a contatto con loro: a partire dal medico di base, per passare poi allo pneumologo, all’ortopedico, fino ad arrivare all’odontoiatra. C’è la necessità di sensibilizzare quelle figure mediche che possono far venire fuori la patologia non emersa e quindi diminuire quel lasso di tempo per arrivare alla diagnosi che è poi fondamentale per arginare la comparsa delle complicazioni più importanti».
Le nuove tecnologie possono essere di supporto nel trattamento di questa patologia?
«Assolutamente sì, lo sono sicuramente e lo stanno dimostrando negli approcci neurochirurgici e anche chemioterapici. Nella gestione della terapia medica, che è un aspetto che rimane a carico dell’endocrinologo, è in arrivo un software nuovo che può aiutare nella gestione del paziente e in una migliore caratterizzazione di quella che è la sua attività di malattia. Dobbiamo riuscire a vedere questi pazienti a 360 gradi, considerare non soltanto le loro alterazioni ormonali ma tutto l’insieme dei sintomi e le comorbilità che sono fondamentali per l’impatto sulla qualità di vita».