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L’asma è una delle più diffuse malattie respiratorie croniche a livello globale. Esiste una correlazione tra condizioni di aridità e tassi di mortalità per asma negli Stati Uniti. A confermarlo, lo studio di un team multidisciplinare del Consiglio nazionale delle ricerche tra cui il professor Sergio Bonomo (Ricercatore Cnr-Ismar) che su questo ha rilasciato un’intervista […]
L’asma è una delle più diffuse malattie respiratorie croniche a livello globale. Esiste una correlazione tra condizioni di aridità e tassi di mortalità per asma negli Stati Uniti. A confermarlo, lo studio di un team multidisciplinare del Consiglio nazionale delle ricerche tra cui il professor Sergio Bonomo (Ricercatore Cnr-Ismar) che su questo ha rilasciato un’intervista alla nostra testata media partner della conferenza Big Data in Health 2019.
Professore, ci può esporre i risultati della sua ricerca sulla correlazione tra asma e clima?
«Abbiamo studiato con molto interesse la relazione che c’è tra tassi di aridità e tassi di mortalità per asma. Quando abbiamo periodi di maggiore aridità, l’atmosfera si carica di particolato organico e inorganico che può potenzialmente innescare eventi nefasti di asma. Abbiamo trovato una forte correlazione per quanto riguarda gli Stati Uniti tra i tassi, le frequenze e le intensità dei periodi più aridi e i tassi di mortalità per asma. Perché l’aridità sembra essere un motore esterno che controlla e può controllare l’aggravarsi fino all’estremo evento di una patologia come l’asma».
Esistono patologie strettamente collegate all’inquinamento o a ambienti non salubri?
«Clima e inquinamento sono due argomenti che comunicano: il clima, infatti, può veicolare l’inquinamento. L’asma senz’altro ha legami, ma la ricerca non voleva intraprendere qualcosa che già si studia, ma osservare in modo diverso l’evoluzione di una patologia. Tipicamente, gli studi medici per fini sanitari guardano intervalli temporali stretti. In campo paleoclima, noi ci spostiamo su intervalli temporali molto lunghi. Il clima non si muove con la stessa velocità della metereologia».
Perché la ricerca è stata fatta negli Stati Uniti?
«La ricerca è stata fatta negli Stati Uniti perché, sebbene i dati climatici a livello mondiale siano estremamente semplici da trovare, perché tutti gli enti che li producono li rendono liberi una volta pubblicati, per quanto riguarda i dati sanitari non è così. Ci sono problemi legati alla privacy. Gli Stati Uniti affrontano questo problema in modo diverso e rendono fruibili i dati sanitari e i tassi di mortalità sin dal 1950. La ricerca deve andar veloce, l’idea è di trasferire la ricerca anche in Italia».