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«Il trapianto di cellule staminali è una procedura che ha l’obiettivo di sostituire il midollo osseo alterato da una patologia, oncologica e non, con cellule sane. La malattia acuta da rigetto è tra le peggiori complicanze»
E’ utilizzato per il trattamento di patologie oncologie, come leucemie, linfomi, mielomi, o non oncologiche, come l’anemia plastica. Il trapianto di cellule staminali è una procedura che ha l’obiettivo di sostituire il midollo osseo alterato dalla malattia con cellule sane. Maria Teresa Lupo-Stanghellini, ematologa presso l’Unità di Ematologia e Trapianto di midollo osseo dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, spiega chi può sottoporsi ad un trapianto di cellule staminali, quando e perché.
«Innanzitutto va chiarito che cos’è il midollo osseo e quali sono le sue funzioni – sottolinea Lupo-Stanghellini -. Si tratta di un tessuto ricco di nutrienti, presente nei canali interni delle ossa lunghe e nella fascia centrale delle ossa piatte. La sua funzione è produrre globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Sono tutte quelle cellule presenti nel sangue che hanno bisogno di essere sostituite ogni qual volta giungono al termine della loro vita. Di conseguenza, chi ha una patologia che altera il midollo osseo, avrà una produzione di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine altrettanto alterata e, dunque, compromessa».
In questi casi la soluzione è, appunto, un trapianto di cellule staminali. «Il midollo osseo alterato può essere sostituto con cellule sane ottenute da un donatore o dal paziente stesso. Tali cellule hanno la capacità di ricostituire il sistema emopoietico e immunitario del ricevente – aggiunge l’ematologa -. Il donatore può essere un familiare identico o uguale al 50% come una mamma o un papà per il figlio. Oppure da registro o un’unità cordonale».
Prima di procedere al trapianto vero e proprio è necessario sottoporre il paziente ad una chemioterapia di preparazione. «Solo successivamente sarà possibile infondendo le “nuove” cellule sane. Il trapianto permette al ricevente di ristabilire anche un nuovo sistema immunitario. I linfociti del donatore difenderanno il paziente dalle infezioni e dalla recidiva della malattia onco-ematologica per cui ha ricevuto il trapianto» dice Lupo-Stanghellini.
Possono essere sottoposti a trapianto di cellule staminali pazienti di tutte le età, dai bambini, agli adulti, fino ai cosiddetti grandi adulti. «Oggi – commenta la specialista -, l’avanzamento della tecnologia, infatti, ci permette di effettuare un trapianto di cellule staminali anche in ultrasettantenni. Lo scopo è guarire il paziente dalla sua malattia di base e restituirgli un controllo della patologia ed una ripresa piena della qualità e quantità di vita».
Tra le peggiori complicanze c’è la malattia acuta da rigetto (Graft Versus Host Disease – GVHD): «Si manifesta quando le cellule immuni del donatore reagiscono contro i tessuti di chi ha ricevuto il trapianto. La GVHD è la causa di circa il 20% dei decessi tra i pazienti trapiantati. La fotoferesi extracorporea è tra le terapie salvavita maggiormente riconosciute a livello internazionale contro la malattia acuta da rigetto», spiega l’ematologa.
Attraverso questo trattamento il sangue viene trattato mentre è fuori dal corpo (da qui deriva il termine extracorporea). C’è l’assistenza di una macchina specializzata che preleva il sangue, separa i componenti da trattare, li tratta e poi li restituisce nel corpo. «La fotoferesi extracorporea – conclude Lupo-Stanghellini – ha l’obiettivo di resettare il sistema immunitario del paziente, facendo in modo che le cellule del donatore non aggrediscano più i tessuti sani del trapiantato».
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