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Gandolfi (S.I.S.O.): «Importante intercettare i soggetti con rischio aumentato per proporre opzione terapeutica migliore»
Una malattia spesso subdola, talvolta violenta, che gradualmente mina le nostre “finestre sul mondo”, gli occhi. Parliamo del glaucoma, patologia causata dall’aumento della pressione interna dell’occhio che colpisce in Italia oltre 800mila persone, e rappresenta la seconda causa di disabilità visiva e cecità. Ad oggi non esistono terapie risolutive contro il glaucoma, ma opzioni terapeutiche per rallentare la progressione della malattia e che vedono sempre più in prima linea il laser e la chirurgia mininvasiva piuttosto che l’utilizzo “a vita” di colliri. Sanità Informazione ha approfondito la tematica con il professor Stefano Gandolfi, direttore della Clinica Oculistica presso l’Università di Parma e componente del Consiglio direttivo S.I.S.O. (Società Italiana di Scienze Oftalmologiche).
«Il glaucoma – chiarisce Gandolfi – coinvolge circa 2 persone su 100 dopo i 40 anni, arrivando a 4/5 persone su 100 dopo i 70 anni. Esistono due forme di glaucoma: la forma più comune è quella cronica (o “ad angolo aperto”) che ha un andamento lento, e che gradualmente corrode il nervo ottico determinando una riduzione progressiva dello spazio visivo che l’occhio riesce a percepire. Il fatto che la visione frontale venga conservata rende difficile per molti pazienti e rendersi conto precocemente del problema. L’altra forma è quella acuta, o “ad angolo stretto/chiuso” che, pur sviluppandosi gradualmente nel tempo, esplode in modo acuto con dolore e congestione a causa della forte pressione all’interno dell’occhio».
«Il primo fattore di rischio è l’età – spiega lo specialista – per tutte e due le forme. Per quanto riguarda la forma cronica il principale fattore di rischio è la familiarità, quindi la presenza di casi di glaucoma cronica nei consanguinei, e ovviamente tanto più è stretto il grado di parentela, tanto più alta sarà la predisposizione. Il secondo fattore di rischio per il glaucoma cronico è la miopia, che comporta tessuti più fragili e una minore resistenza allo stress oculare. Il terzo è la presenza di patologie cardiovascolari e le vasculopatie. La forma acuta, invece, colpisce più facilmente chi ha una cataratta e gli ipermetropi, che hanno occhi piccoli. Non a caso, le popolazioni orientali sono particolarmente vulnerabili a questa patologia».
«Il glaucoma cronico viene curato così da impedire l’insorgere di gravi disabilità visive – prosegue Gandolfi – mentre per il glaucoma acuto bisogna fare prevenzione, identificando quelle persone, perfettamente sane, maggiormente a rischio di sviluppare la patologia in forma acuta. La chirurgia come la terapia farmacologica ha lo scopo di abbassare la pressione intraoculare. Nel valutare l’opzione terapeutica più indicata per ogni singolo paziente bisogna porre diversi fattori sul piatto della bilancia. C’è un tipo di chirurgia particolarmente potente (chirurgia filtrante) che riesce ad abbassare molto la pressione oculare, e chirurgie meno potenti (mininvasive) che portano ad un abbassamento più lieve. La chirurgia filtrante presenta dei rischi di complicanze post-operatorie più elevate delle tecniche chirurgiche mininvasive. Queste permettono una ripresa molto rapida – conclude Gandolfi – e sono talmente sicure da proporsi in prima istanza al momento della diagnosi al posto della terapia farmacologica e del laser, vantando dei profili di sicurezza assolutamente paragonabili».
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