«Siamo ancora in attesa dei decreti attuativi sulla parte assicurativa», chiarisce il relatore della norma che aggiunge: «Abbiamo i primi segnali importanti di inversione di tendenza con una sostanziale deflazione del contenzioso e della medicina difensiva»
«Dai primi dati di cui siamo in possesso si registrano i primi segnali importanti di deflazione del contenzioso, cioè del numero delle cause legate al rischio sanitario, e abbiamo anche i primi segnali di riduzione della medicina difensiva». Uno dei padri della legge 24 del 2017 sulla responsabilità professionale del medico, Federico Gelli, ex deputato e oggi responsabile del rischio in sanità di Federsanità Anci, è soddisfatto dell’andamento della legge: mancano ancora alcuni decreti attuativi, quelli sulla parte assicurativa, ma i primi segnali sono molto incoraggianti. Un percorso, quello della legge 24, che si lega a doppio filo con la formazione continua ECM: «È evidente che nella valutazione del comportamento di un professionista la possibilità di aver eseguito percorsi di aggiornamento formativo, un adeguamento a quelli che sono i principi fondamentali della scienza espressi nelle linee guida, delle buone pratiche cliniche assistenziali è un requisito da tenere presente nella valutazione del suo operato» sottolinea Gelli.
L’articolo tre della legge, infatti, prevede l’individuazione di idonee misure per la prevenzione e la gestione dell’errore sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché «per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie». La legge mostra anche una stretta correlazione con la legge 219 del 2017, quella sul biotestamento e sulle Disposizioni anticipate di trattamento, che nei primi articoli definisce il consenso informato: «Questo perché il comportamento del professionista e ciò che accade nel momento in cui si mette in atto un particolare atteggiamento diagnostico o terapeutico – spiega Gelli a Sanità informazione – è molto legato alla condivisione, alla compartecipazione e alla conoscenza da parte del paziente a ciò cui si dovrà sottoporre e quindi anche eventuali cause legate ad un incidente, un danno, un effetto negativo di queste prestazioni».
Onorevole, facciamo il punto sulla legge che porta il suo nome, la legge 24 del 2017. Alcuni decreti attuativi ancora mancano…
«Mancano i decreti attuativi di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico: sono soprattutto quelli sulla parte assicurativa anche se c’è un aspetto importante che è intervenuto, una sentenza della Cassazione del 24 settembre di quest’anno che, in una parte del dispositivo, indica la legge come un riferimento importante soprattutto per quanto riguardo il principio della “claims made”, un importante punto di riferimento per quello che dovrà succedere nel prossimo futuro sul tema assicurativo. Purtroppo mancano questi decreti applicativi e quindi aspettiamo cosa succederà. L’applicazione della legge ha prodotto, già dai primi dati di cui siamo in possesso relativi ad alcuni regioni italiane, i primi segnali importanti di inversione di tendenza con una sostanziale deflazione del contenzioso, il numero delle cause legate al rischio sanitario, e abbiamo anche i primi segnali di riduzione della medicina difensiva. Abbiamo uno strumento importante che è l’Osservatorio nazionale presso Agenas che ci darà in maniera più compiuta i dati tra qualche mese quando cominceranno a fluire le informazioni dai centri regionali del rischio clinico costituiti nelle singole regioni».
C’è un aspetto di cui forse non si parla tantissimo, la correlazione tra formazione ECM e responsabilità. Qual è questo nesso, perché un medico formato è meno a rischio?
«Questo è un principio che a mio avviso dovrebbe essere anche richiamato da uno di questi decreti attuativi di cui dicevamo prima. È evidente che nella valutazione del comportamento di un professionista la possibilità di aver eseguito percorsi di aggiornamento formativo, un adeguamento a quelli che sono i principi fondamentali della scienza espressi nelle linee guida, delle buone pratiche cliniche assistenziali, insomma avere un professionista formato e preparato è un requisito da tenere presente nella valutazione del suo operato e quindi questo ragionamento si sposa perfettamente con tutto l’impianto della legge di cui dicevamo prima».
C’è poi una correlazione tra la legge 24 del 2017 e la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento. Ci spiega perché?
«Perché la legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento è l’altra faccia della stessa medaglia. Quando noi inizialmente, nella prima bozza della legge 24, andavamo a scrivere i primi articoli, volevamo definire il consenso informato che è uno strumento fondamentale nell’alleanza terapeutica, nel rapporto medico-paziente. Purtroppo il difficile dibattito che si venne ad articolare ci spinse ad accantonare questo argomento e di rinviarlo ad una norma specifica ad hoc con pochi articoli dedicati a questo tema. Una volta approvata la legge 24 il sottoscritto ed altri colleghi in Parlamento, fra cui la relatrice Donata Lenzi, ci siamo impegnati a recuperare quello che nella legge 24 non era stato inserito, cioè proprio una disciplina del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento e infatti il collegamento è molto forte perché il comportamento del professionista e ciò che accade nel momento in cui si mette in atto un particolare atteggiamento diagnostico, terapeutico, ecc., è legato molto alla condivisione, alla compartecipazione e alla conoscenza da parte del paziente a ciò cui si dovrà sottoporre e quindi anche eventuali cause legate ad un incidente, un danno, un effetto negativo di queste prestazioni. Ovviamente, se sono documentate da una corretta raccolta del consenso, diminuisce il contenzioso e hanno conseguenze molto diverse sull’esito finale. In realtà queste due norme sono molto collegate tra di loro e sono anche un traguardo importante per questo Paese perché non solo sono tutte e due leggi di iniziativa parlamentare ma dopo tantissimi anni finalmente vanno a normare una materia che non era mai stata disciplinata da una legge dello Stato italiano e questo credo sia un fatto importante. E se andate a guardare le maggioranze che hanno sostenuto nella scorsa legislatura queste due leggi, sono maggioranze molto trasversali, molto più ampie della maggioranza che sosteneva il governo di allora. Anche questo è un elemento che dà forza a queste due norme perché voglio ricordare che le leggi di iniziativa parlamentare, non potendo utilizzare il meccanismo del voto di fiducia, necessitano per forza di cose un accordo tra tutte le forze politiche perché se una forza politica avesse voluto bloccare la legge con l’ostruzionismo avrebbe potuto farlo e chissà mai quando avremmo potuto approvare queste norme».