La direttrice del Centro nazionale malattie rare: «Legge sullo screening neonatale tra le più importanti sul panorama mondiale. Storico il passaggio delle associazioni di pazienti da ruolo passivo ad attivo»
Messa a sistema della Rete nazionale dedicata alle malattie rare, integrazione socio-sanitaria, ricerca. Sono queste le priorità che, secondo la direttrice del Centro nazionale malattie rare Domenica Taruscio, il gruppo di lavoro incaricato di redigere il nuovo Piano nazionale malattie rare dovrà affrontare. Ma quello delle malattie rare è un capitolo di eccellenza della sanità italiana. La Legge sugli screening neonatali, ad esempio, rende il nostro Paese all’avanguardia nel panorama mondiale. «Molto è stato fatto e molto c’è ancora da fare – dichiara ai nostri microfoni la dottoressa Taruscio, tra gli ospiti della cerimonia di consegna del premio OMaR per la comunicazione sulle malattie e i tumori rari organizzata dall’Osservatorio Malattie Rare -. Ma dobbiamo essere fieri degli ottimi risultati che istituzioni, ricercatori, associazioni di pazienti e medici, lavorando insieme, sono riusciti ad ottenere».
Dottoressa, quali sono le priorità che bisogna affrontare nel campo delle malattie rare?
«È certamente necessario redigere il nuovo Piano nazionale malattie rare, ma siamo a buon punto, perché è stata già convocata per il prossimo 20 marzo la prima riunione del gruppo incaricato dal ministero della Salute. Speriamo che sia un Piano efficace, efficiente e centrato sulle priorità del Paese: la messa a sistema della Rete nazionale, che è in uno stato di salute eccellente ma che deve ulteriormente integrarsi con le reti europee; l’integrazione socio-sanitaria, perché molto è stato fatto a livello sanitario, ma molto deve ancora essere fatto a livello sociale; e poi la ricerca, che va assolutamente sostenuta e incentivata. A livello europeo ci sono azioni molto importanti, come lo European Joint Programme, un progetto finanziato per 55 milioni di euro che ci vede partecipi molto attivi come Paese e come sistema, ma devono contribuire anche i nostri ministeri della Ricerca e della Salute».
Il modello italiano per le malattie rare è un’eccellenza. Qual è secondo lei il risultato più importante che è stato raggiunto in questi ultimi anni?
«Sicuramente abbiamo una delle azioni più importanti sul panorama mondiale per quel che riguarda la prevenzione delle malattie metaboliche rare attraverso lo screening neonatale. Ci stiamo lavorando da due anni, e la Legge 167 del 2016 ci mette veramente all’avanguardia: tutti i nuovi nati vengono screenati per più di 40 malattie metaboliche rare e vengono sottoposti anche allo screening audiologico e visivo. Se viene identificata un’anomalia, vengono quindi sottoposti alle terapie o alla riabilitazione, e questo abbatte moltissimo la disabilità. È un’azione di prevenzione veramente importante. Quindi c’è ancora molto da fare, ma dobbiamo essere fieri dei risultati che istituzioni, ricercatori, medici e associazioni di pazienti hanno raggiunto lavorando insieme. E noi come Istituto Superiore di Sanità siamo contenti di essere il punto di raccordo di tutte queste iniziative».
Citava le associazioni di pazienti. Qual è stato fino ad oggi il loro ruolo e quale potrebbe essere in futuro?
«Le associazioni di pazienti ricoprono un ruolo molto importante. Finora sono stati da stimolo per le istituzioni e per tutte le iniziative che abbiamo portato avanti. Adesso finalmente il loro ruolo viene formalmente riconosciuto: fanno parte del Centro di coordinamento per gli screening neonatali e anche del nuovo gruppo di lavoro del Piano nazionale per le malattie rare. Quindi da che venivano ascoltate per capire i loro bisogni, sono passate ad avere un ruolo attivo. E questo è molto significativo, perché portano il loro know-how e il loro contributo non solo come pazienti, ma anche, ad esempio, per le strategie di informazione delle famiglie. È veramente un cambiamento storico».
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