Uno sguardo all’Europa sulle tecniche di fecondazione assistita. Micara (embriologa): «L’Inghilterra ha una legge molto liberale che consente la sperimentazione fino a 14 giorni dopo la fecondazione, sull’embrione e poi sul feto. La cattolica Spagna è leader nel mondo per le ovodonazioni»
È finita almeno 38 volte in tribunale, di cui 5 davanti alla Corte Costituzionale. Ma nonostante sia stata oggetto di numerosi discussioni, la legge italiana sulla fecondazione assistita (la n. 40 del 2004), ha permesso la nascita di migliaia di bambini, 14 mila solo nel 2016. Il 10 marzo di quest’anno ha compiuto esattamente 15 anni, davvero pochi se paragonati a quelli trascorsi dai primi tentativi di Procreazione medicalmente assistita (PMA) nel mondo: «Il 25 luglio del 1978 è nata Louise Brown, la prima bambina concepita attraverso la fecondazione artificiale», racconta Giulietta Micara, embriologa e ricercatrice del Policlinico Umberto I. Alcuni anni più tardi, nel gennaio 1983, è venuta alla luce la prima bambina italiana nata mediante Procreazione Assistita.
E mentre queste due donne oggi hanno rispettivamente 40 e 36 anni, le prime sperimentazioni nel settore possono vantare almeno mezzo secolo di storia. «Tutto è cominciato grazie ad una sorta di club di pochi esperti – continua Micara – che si trovavano in Norvegia, Inghilterra, Francia, Australia e Stati Uniti. Da questo momento in poi i progressi sono stati inarrestabili. Nel ’92 è stata messa a punto la microiniezione che ha consentito anche agli uomini con problemi gravi di infertilità di poter produrre un embrione e successivamente una gravidanza. Anche l’industria ha offerto un contribuito notevole, dedicandosi attivamente al miglioramento di tutte le apparecchiature necessarie all’interno dei laboratori di riproduzione assistita».
In questi anni di grande fermento scientifico è stato necessario regolamentare la materia approvando delle leggi specifiche: «Gli iter legislativi non sono stati semplici – commenta la ricercatrice del Policlinico Umberto I – perché hanno dovuto coniugare le esigenze normative con aspetti molto profondi non solo dell’essere umano, ma anche dell’etica. L’Italia, con un certo ritardo rispetto all’Europa, ha approvato la sua legge nel 2004, una legge inizialmente molto restrittiva, poi rivisitata negli anni attraverso numerose sentenze della Corte Costituzionale».
Per trovare regolamentazioni meno restrittive di quella italiana non è necessario andare oltreoceano: «L’Inghilterra ha una legge molto liberale che consente la sperimentazione fino a 14 giorni dalla fecondazione – spiega Giulietta Micara -. La cattolica Spagna, invece è leader nel mondo per le ovodonazioni e consente, in tal modo, anche a donne avanti con l’età o con patologie severe, che non hanno una loro disponibilità ovocitaria, di accedere ad una fecondazione di tipo eterologa».
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In Italia un passo importante è stato compiuto nel ’98, «anno in cui – dice l’embriologa – è stata fondata la Società di embriologia, riproduzione e ricerca (SIERR) che raggruppa tutti gli embriologi italiani, una popolazione nuova di professionisti che, come tale, va formata. Un percorso importante e nello stesso tempo difficile, sia perché i laboratori di fecondazione assistita ancora oggi non sono automatizzati, sia perché le cellule che vengono trattate sono state classificate alla stessa stregua delle cellule e dei tessuti utilizzati per i trapianti e, quindi, sottoposte alla stessa normativa».
È un argomento che, nonostante il progresso, resterà sempre delicato e complesso «in quanto – dice Micara – riguarda cellule rare, numericamente poche, soprattutto quelle femminili. Cellule che assolvono ad un compito importante come quello della fecondazione e dello sviluppo dell’embrione, per dar luogo non semplicemente ad una gravidanza, ma – conclude la ricercatrice – alla nascita di un bambino sano».