Antonio Magi, Segretario generale Sumai-Assoprof, avrebbe preferito dalle Regioni una proposta meno impattante, visto che «eventuali cambi di rapporti giuridici o modifiche di legge potrebbero creare dei problemi di stallo o di particolare inefficienza del settore»
Non c’è bisogno di stravolgimenti che rischiano di danneggiare il sistema sanitario. Tutto ciò che serve per migliorare il sistema esiste già e si trova nelle leggi e negli accordi già in essere. Questo, in estrema sintesi, il pensiero di Antonio Magi, Segretario generale del Sindacato degli specialisti ambulatoriali del Sumai-Assoprof, che spiega a Sanità Informazione che idea si è fatto della proposta delle Regioni sulla nuova medicina generale e cosa andrebbe fatto per implementare il sistema.
«È una situazione un po’ complessa, figlia anche della pandemia. Quindi è chiaro che ci sono delle criticità ma anche delle cose positive. Non credo sinceramente che le soluzioni proposte possano essere risolutive del problema. Se fosse soltanto una situazione di differenza di profilo giuridico, allora la Pubblica amministrazione dovrebbe essere fantastica, tutti gli ospedali dovrebbero funzionare alla grande. Ecco, non mi pare che sia così. Non è dunque un problema di rapporto giuridico quanto di modalità organizzativa del tutto. Bisogna che ci siano tutte le condizioni per stimolare i professionisti e fare in modo che questi siano inseriti perfettamente nel sistema».
«Secondo noi gli strumenti e gli elementi che possono essere dedicati alla riforma del sistema per renderlo maggiormente efficiente ci sono già. Quindi penso, da specialista ambulatoriale, che lavorare in équipe sia qualcosa di fondamentale. Ormai la medicina moderna è fatta non da singoli ma da gruppi di lavoro. E gli strumenti per far lavorare insieme questi professionisti sono già presenti negli accordi collettivi nazionali. Non si tratta dunque di una questione di rapporto giuridico ma solo di organizzazione del sistema. Per questo dobbiamo sederci intorno ad un tavolo e ragionare per trovare la soluzione migliore, alla luce del fatto che, ripeto, dal mio punto di vista tutti gli elementi sono già presenti negli accordi e nelle leggi. Bisogna soltanto far applicare quanto già previsto e fare dei correttivi magari con gli accordi collettivi nazionali».
«Penso che sia il caso che le Regioni emanino un nuovo atto di indirizzo con cui discutere, tutti insieme, quali sono le modalità organizzative da seguire. Nessun grande stravolgimento per quanto riguarda eventuali cambi di rapporti giuridici o modifiche di legge che potrebbero creare dei problemi di stallo o di particolare inefficienza del sistema. Bisogna invece dare continuità al sistema, magari con un nuovo atto di indirizzo che preveda una serie di punti che le Regioni ritengono qualificanti per il servizio sanitario e che vadano a correggere eventuali storture o inefficienze. Abbiamo visto tutti cosa è successo con la pandemia e non ci vogliamo trovare nella stessa situazione un domani. Allo stesso tempo, però, non vogliamo rinunciare al Servizio sanitario nazionale. Ci sono delle cose che non funzionano? Aggiustiamole ma non stravolgiamo il nostro Ssn».
«Ritengo che il documento sia più focalizzato su altre necessità. Ma restando in tema di pandemia, se ci fosse stato un territorio forte formato da équipe già presenti, come previsto dalla legge Balduzzi, sarebbe stato ovviamente meglio. Quella legge prevedeva già la possibilità di mettere insieme medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, psicologi, biologi, infermieri e così via. Tutti riuniti in équipe multiprofessionali e multidisciplinari. Se tutte le Regioni avessero applicato ciò che era stato dato come linee guida dalla legge Balduzzi, avremmo avuto risultati diversi. Detto questo, per fare quel che vogliamo fare bisogna anche che ci sia un elemento riunificatore fra le varie Regioni. È bene che esistano differenze regionali ma queste devono riguardare le problematiche interne alle stesse, relative ad esempio alla conformazione del territorio o alle patologie più diffuse, ma dobbiamo trovare qualcosa che unisca i diversi sistemi sanitari per tutto il resto, altrimenti ci ritroveremo sempre con una parte d’Italia che va a 300 chilometri all’ora e un’altra che va molto più lentamente. Bisogna unificare tutto ed eliminare le diseguaglianze».
«Il problema è che se non abbiamo gli specialisti, se non ne troviamo sul territorio perché lo abbiamo desertificato, poi non possiamo lamentarci se ci sono liste d’attesa così lunghe a causa del Covid che non sappiamo come recuperarle. Stravolgere il sistema in questo modo può portare a problematiche molto serie e ho paura che tutto questo possa poi sfociare in una corsa al privato. E tanti saluti al Servizio sanitario nazionale…».
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