«Lo sport è come un farmaco: va somministrato alle dosi giuste per il paziente giusto. Sì a una “ricetta” dello sport» i consigli e le indicazioni dello specialista a guida del Congresso Place di Roma
«Praticare sport fa sicuramente bene al cuore, tuttavia ogni paziente ha una situazione diversa dall’altro quindi è bene scegliere l’attività sportiva sulla base delle esigenze del singolo». A sostenere l’importanza di una corretta attività fisica, non solo come prevenzione ma anche come terapia per i pazienti che soffrono di malattie cardiovascolari, è il Professor Fiorenzo Gaita, cardiologo dell’Università degli Studi di Torino e Presidente del Congresso ‘Place’, insieme al Professor Leonardo Calò.
Professore, può farci un bilancio del Congresso che ha riunito i più illustri professionisti da tutto il mondo? Quali le prospettive per il settore?
«Si è trattato di un’occasione eccezionale che ha visto coinvolti tutti i più autorevoli cardiologi che si occupano nello specifico di aritmologia e una incredibile serie di faculty internazionali. In questa tre giorni si è parlato di tutto lo scibile della cardiologia con dei temi di particolare interesse riguardanti soprattutto le aritmie cardiache. Siamo passati dall’impostazione ambulatoriale ai più alti interventi di aritmologia interventistica che vanno dall’ablazione delle aritmie complesse, dall’applicazione di valvole all’interno del cuore al riconoscimento con metodiche, risonanza magnetica e tac del substrato delle aritmie. Uno scambio che ha permesso di mettere attorno allo stesso tavolo e se non proprio allo stesso tavolo alla stessa stanza medici cardiologici di base e specialisti ad altissimo livello».
Uno dei temi che è stato trattato al congresso è lo sport come prevenzione di malattie cardiologiche ma anche come terapia. Come si devono approcciare questi pazienti allo sport?
«Innanzitutto ci sono due punti da chiarire: il primo punto è lo sport, se lei guarda i dati prima del 1990 i pazienti che facevano sport morivano di più dei pazienti che non lo facevano; in un secondo momento è subentrata in Italia la visita d’idoneità sportiva che ha permesso ai medici d’individuare i pazienti che potevano andare incontro a un rischio eventuale praticando sport (basta pensare ad alcune patologie cliniche come displasia aritmogena del ventricolo destro e la sindrome del QT lungo che possono essere peggiorate dallo sport). Dunque il medico con l’avvalersi di questi screening ha potuto curare i pazienti che mostravano segnali di patologie cardiache e permettere a coloro che risultavano sani, di praticare attività fisica in sicurezza. Grazie a questi presupposti, oggi chi fa sport vive più a lungo. Proprio per questo io ritengo che si debba fare ‘una ricetta dello sport’ non solo fornire consigli, ma da medico ritengo che l’attività fisica sia come un farmaco, va somministrato alle dosi giuste per il paziente giusto. Faccio un esempio: a me piace moltissimo parlare della ‘regola del 3’, il minimo indispensabile per stare in salute sarebbe fare una camminata di 3 Km tre volte alla settimana».