L’ateneo romano ha ospitato un incontro tra il cast di “Sconnessi”, i ricercatori e gli studenti per discutere del problema: «Ben vengano film come questo: ci aiutano a parlare ad una comunità più ampia di quella che riusciamo di solito a raggiungere»
«Laddove non arrivano insegnanti, ricercatori e psicologi, può arrivare il cinema». Ne è convinto Fabio Lucidi, vice preside vicario della Facoltà di Medicina e Psicologia alla Sapienza, che ai nostri microfoni spiega perché su un problema discretamente nuovo e ancora molto sottovalutato come la nomofobia (la paura di restare senza connessione internet, e quindi “isolati” dal mondo) molto possano fare i linguaggi e i mezzi di comunicazione più “leggeri” e meno accademici. Un esempio è “Sconnessi”, pellicola realizzata dal regista Christian Marazziti che vede come protagonisti attori del calibro di Ricky Memphis, Giuseppe Bentivoglio e Carolina Crescentini. Tema centrale del film è proprio il rapporto delle nuove generazioni (e non solo) con la tecnologia, ma visto in un’ottica ironica e divertente. E proprio alla Sapienza di Roma, nell’aula magna della Facoltà di Medicina e Psicologia, il cast e gli sceneggiatori hanno incontrato i ricercatori e gli studenti universitari per dar vita ad un confronto costruttivo sulla problematica. Presente anche Consulcesi, realtà medica leader nella formazione del personale sanitario, che ha lanciato un corso che si occupa proprio delle nuove dipendenze, rivolto sia agli operatori sanitari che ai pazienti.
Vice preside Lucidi, un incontro alla Sapienza per discutere di un problema molto sentito, quello della nomofobia. Cosa ne è uscito?
«Quello della connessione ubiquitaria che caratterizza le nostre vite è, al tempo stesso, un problema e un’opportunità. È una risorsa ma è anche un rischio. L’aspetto che è emerso di più nel corso di questo incontro è quello della necessità di un utilizzo competente della tecnologia. La specie umana è capace di ragionare e di riuscire a non diventare “preda” degli strumenti tecnologici. Questo è ciò che noi psicologi e il cast [del film “Sconnessi”, nda.] abbiamo cercato di dare: una dimensione in cui esistano possibilità di fruizione di questi strumenti senza alienazione da quello che è il nostro sistema di regole che ci vede inseriti come esseri umani».
Il pretesto per parlarne è stata la presentazione del film “Sconnessi” che tratta proprio questo problema. Quanto è importante che si parli di tematiche più profonde anche con queste forme di intrattenimento, che hanno un linguaggio semplice e divertente?
«Siamo in condizione di costruire idee di intervento ma abbiamo anche bisogno di mezzi per intervenire concretamente. Ci servono mezzi di comunicazione che arrivino a sollevare temi, problemi e aspetti di riflessione all’interno di una comunità più ampia di quella che noi ricercatori riusciamo a raggiungere. Da questo punto di vista il cinema è uno strumento fondamentale. È sempre stato maestro del sistema di opportunità e riflessione e di identificazione di spunti anche in anticipo sui contesti e sui contenuti scientifici. Credo che questo film faccia assolutamente questo tipo di lavoro, fornendo spunti, opportunità e modalità intelligenti di riflessione».
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