Lo dimostra un recente studio che ha coinvolto oltre 5mila partecipanti: i soggetti con cronotipo mattutino (“allodole”) che assumevano i farmaci al mattino avevano un minor rischio di eventi cardiaci acuti rispetto a coloro che li assumevano la sera
Assumere i farmaci per la pressione arteriosa nel momento giusto della giornata, in base al proprio ritmo sonno-veglia naturale, può ridurre significativamente il rischio di infarto del miocardio nei pazienti ipertesi. Lo dimostra un recente studio pubblicato sulla rivista eClinicalMedicine del gruppo Lancet che, coordinato dall’Università scozzese di Dundee, ha coinvolto un team internazionale di ricercatori e ricercatrici provenienti da Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Italia, tra i quali anche il professor Roberto Manfredini del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Ferrara. La ricerca, svoltasi su un campione di oltre 5mila partecipanti, ha dimostrato che i soggetti con cronotipo mattutino (“allodole”) che assumevano i farmaci al mattino avevano un minor rischio di eventi cardiaci acuti rispetto a coloro che li assumevano la sera. Viceversa, i soggetti con cronotipo serale (“gufi”) che assumevano i farmaci la sera avevano un minor rischio di ricovero in ospedale per infarto rispetto a coloro che li assumevano al mattino.
“L’ipertensione è uno dei principali fattori di rischio modificabili a livello mondiale per la morbilità e la mortalità delle malattie cardiovascolari – spiegano i ricercatori nell’introduzione dello studio – . Nonostante i progressi significativi derivanti dalle modifiche dello stile di vita e dalle terapie farmacologiche, le strategie per ottenere un buon controllo della pressione arteriosa e i nuovi trattamenti rimangono un’urgente necessità di salute pubblica”. Per gli scienziati servono “approcci più personalizzati”. Dalla fine degli anni ’90 è stato osservato un legame tra la pressione arteriosa e il ritmo circadiano, “con un picco al mattino dopo il risveglio ed uno pomeridiano”, spiegano gli autori dello studio. Ed è proprio basandosi su queste osservazioni che è stato coniato il termine “cronorischio”. Solo per fare un esempio, le ore del mattino sono associate ad un rischio maggiore di infarto miocardico, ictus e rottura di aneurismi aortici. “Una maggiore consapevolezza dell’importanza dei tempi circadiani nel determinare sia la salute, che la malattia ha recentemente fatto emergere un ulteriore concetto, quello di medicina circadiana – aggiungo gli studiosi – . La moderna cronoterapia esemplifica questo approccio farmacologico su misura fornendo terapie ai pazienti nei momenti in cui saranno più efficaci e tollerabili. Pertanto, la somministrazione di farmaci antipertensivi prima di coricarsi è stata proposta come approccio cronoterapeutico per il controllo della pressione arteriosa”.
Da alcuni studi condotti in Spagna, ad esempio, è emerso che la somministrazione di farmaci antipertensivi prima di coricarsi ha ridotto gli esiti cardiovascolari. “Tuttavia, altri studi clinici prospettici che hanno valutato i potenziali vantaggi della somministrazione serale rispetto a quella mattutina dei farmaci antipertensivi hanno generato risultati contrastanti – sottolineano gli autori della ricerca -. Recentemente, nel nostro studio Treatment in Morning versus Evening ( TIME), su una popolazione generale del Regno Unito affetta da ipertensione, abbiamo scoperto che l’orario di somministrazione degli antipertensivi abituali non ha influenzato gli eventi cardiovascolari maggiori. Pertanto, le linee guida della Società Europea di Ipertensione del 2023 per la gestione dell’ipertensione arteriosa suggeriscono di prendere in considerazione la somministrazione prima di coricarsi nei pazienti con ipertensione. Con un’ ipertensione notturna documentata, invece, si raccomanda l’assunzione di antipertensivi al mattino”, spiegano ancora gli esperti.
Partendo da queste evidenze scientifiche gli studiosi hanno sottolineato ancora un altro aspetto: “Qualsiasi tentativo di terapia personalizzata non può ignorare che gli esseri umani mostrano ampie differenze circadiane interindividuali – chiamate cronotipo – nelle loro preferenze per il sonno e la veglia (cioè presto al mattina vs tardi la sera) nell’arco delle 24 ore. I cronotipi più precoci (allodole mattutine) sono individui che si alzano prima e mostrano il picco di attenzione a metà mattinata, mentre i cronotipi successivi (nottambuli o gufi) sono dormiglioni che mostrano il picco di attenzione più tardi nel corso della giornata, spesso fino a tarda sera. I maggiori cambiamenti del cronotipo si verificano tra i 15 e i 25 anni per entrambi i sessi, dopodiché il cronotipo diventa precoce e relativamente stabile a livello individuale”, commentano gli specialisto. Da qui l’idea di questo nuovo studio che ha esplorato un ambito non ancora indagato dagli scienziati: il cronotipo di un individuo può modificare l’efficacia dei farmaci antipertensivi? “Nella coorte del sottostudio Chronotype dello studio TIME, abbiamo mirato a esaminare se e in che misura la somministrazione temporizzata di antipertensivi sincronizzata con il cronotipo di un paziente (cioè cronoterapia personalizzata) potesse massimizzare gli effetti benefici del trattamento antipertensivo nella prevenzione di eventi cardiovascolari maggiori”, spiegano gli autori della ricerca.
Lo studio ha risposto così alla domanda di partenza: le “allodole” che assumevano i farmaci al mattino avevano un minor rischio di eventi cardiaci acuti, così come i “gufi” che li assumevano la sera avevano un minor rischio di ricovero in ospedale per infarto. Questi risultati suggeriscono che la cronoterapia, ovvero l’assunzione di farmaci in base al proprio cronotipo, potrebbe rappresentare un nuovo approccio per il trattamento dell’ipertensione, con il potenziale di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. “Sono risultati entusiasmanti perché potrebbero rappresentare una svolta nella terapia dell’ipertensione”, afferma Filippo Pigazzani, consulente cardiologo della Facoltà di Medicina dell’Università di Dundee e principal investigator. “Fa molto piacere, a distanza di trent’anni da una nostra ipotesi quasi visionaria all’epoca (i geni orologio sarebbero stati identificati solo alcuni anni dopo), vederne consacrare una applicazione pratica in un grande trial internazionale”, conclude Manfredini.
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