Il contributo di Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore dell’Osservatorio Malattie Rare
Di fronte alla pandemia, quello che abbiamo sempre chiamato Servizio Sanitario Nazionale ha mostrato di essere tutto men che nazionale. Abbiamo visto, invece, un puzzle mal incastrato e sotto finanziato di 20 sistemi regionali, che ci ha mostrato tutta la sua debolezza. Nelle crepe di questo puzzle sono cadute delle persone, che ci hanno rimesso la vita o la salute. Non parlo solo dei morti per Covid, ma anche di tutte quelle persone con una patologia pregressa – come ad esempio quasi 2 milioni di malati rari – che si sono viste costrette ad interrompere le abituali terapie, a saltare sedute di infusioni o trasfusioni, persone che hanno visto ritardare di mesi l’avvio di una sperimentazione clinica che per loro rappresentava l’unica speranza di sopravvivenza. Molti malati rari hanno dovuto scegliere se andare nella farmacia ospedaliera di un centro Covid a ritirare un farmaco, rischiando il contagio, o se aspettare che la propria regione si ricordasse di loro e organizzasse una distribuzione territoriale. Spesso a pensarci sono state, prima delle Regioni, le aziende produttrici dei farmaci, tra i pochissimi soggetti ad avere messo in campo servizi a livello nazionale, mentre ogni servizio pubblico di terapia o di assistenza domiciliare, di consegna di farmaci o distribuzione in nome e per conto, è stata organizzata a livello regionale, da alcune regioni sì e da altre no.
Credo che dovremmo pensare ad una revisione dell’organizzazione del nostro sistema sanitario che vada nella direzione di un ritorno, almeno parziale, alla centralizzazione: per quanto riguarda le malattie rare l’illogicità di avere 20 diversi sistemi è evidente. Non è possibile che alcuni possano fare le terapie a domicilio, magari in orario extra lavorativo, ed altri debbano necessariamente perdere giornate di lavoro per fare le stesse identiche terapie in ospedale. Come non è possibile che in una regione un farmaco di fascia C che fa parte del piano terapeutico sia gratuito per il paziente e che in una regione diversa, lo stesso farmaco per la stessa malattia, sia un costo per il malato. Questo sistema così organizzato genera solo una moltiplicazione di costi e un aumento enorme delle disparità.
Certo, dovremo pensare a maggiori finanziamenti per la sanità, che negli anni è stata progressivamente impoverita: e con sanità si intende anche la spesa farmaceutica, da anni il bancomat di ogni manovra economica. In ordine di tempo l’ultimo grande ‘scippo’ è stato fatto ai farmaci orfani, quelli per le malattie rare, che poi sono spesso anche i farmaci più innovativi, quelli che permettono alla ricerca di fare un balzo in avanti: quello che prima si è impedito e ora tutti stanno invocando. Non si può costantemente tentare il risparmio e poi, nel momento di urgenza, invocare maggiore produzione e maggiore impegno nella ricerca: se si vuole rilanciare la sanità bisogna ricominciare a pensarla e costruirla con uno sguardo di più lungo termine, non con quello della scadenza annuale del budget regionale o con quella della manovra di bilancio.
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