Quanto sta accadendo da ormai molte settimane e la necessità di combattere e convivere con un nemico invisibile come il Coronavirus ci stanno facendo scoprire o riscoprire l’importanza del Servizio sanitario nazionale non solo come elemento di coesione sociale e di sviluppo ma anche di sicurezza. Oltre questo però stanno emergendo alcuni elementi, forse per alcuni scomode […]
Quanto sta accadendo da ormai molte settimane e la necessità di combattere e convivere con un nemico invisibile come il Coronavirus ci stanno facendo scoprire o riscoprire l’importanza del Servizio sanitario nazionale non solo come elemento di coesione sociale e di sviluppo ma anche di sicurezza. Oltre questo però stanno emergendo alcuni elementi, forse per alcuni scomode verità, utili non solo per gestire al meglio questa situazione ma per ripartire in modo completamente diverso quando la situazione di emergenza sanitaria sarà stata messa “in sicurezza”.
Sicuramente, al di là del fatto che vogliamo chiamarlo taglio o definanziamento o sottofinanziamento, abbiamo un problema di investimento per il Ssn. Dal 2000 in poi le risorse disponibili sono state sempre di meno, portandoci ad avere una percentuale sul Pil al di sotto del 7%.
Le risorse investite in queste settimane e negli ultimi giorni sono importanti e si aggiungono a quelle decise a dicembre scorso con il Patto per la salute tra governo e regioni e sono state il primo vero segnale di inversione di tendenza degli ultimi quindici anni. La sfida però sarà stabilizzare il finanziamento quando l’emergenza sarà passata. C’è un evidentissimo problema di “governo di sistema” nel servizio sanitario e non solo. La riforma del titolo V della Costituzione, con l’art. 117, ha affidato alle Regioni una serie di competenze molto importanti, tra queste la tutela della salute e la protezione civile senza creare un sistema trasparente di “contrappesi” che permettesse sia in “tempi ordinari” di garantire uguali diritti ai cittadini in tutto il paese sia in condizioni “non ordinarie”, come quelle attuali, di intervenire con una linea di comando semplice, diretta ed efficace in tempo reale.
In tanti usano metafore ispirate a periodi bellici (“siamo in guerra”, “combattiamo una battaglia”, “usiamo tutte le armi disponibili”) ma non si è mai vista una guerra dove i generali (alias i presidenti delle regioni) si muovessero non solo in modo autonomo ma con strategie a volte opposte in regioni confinanti. Questo crea non solo caos istituzionale (male) ma anche disorientamento nei cittadini (molto peggio), il che è devastante nel momento in cui ai cittadini è richiesta responsabilità.
Ci sono quasi venti anni di conflitti tra stato e regioni che la Corte Costituzionale ha dovuto dirimere su provvedimenti e competenze varie semplicemente perché la norma del Titolo V è incompleta. In proposito fa quasi tenerezza chi, nel mondo della politica e in generale del policy makers, si sveglia oggi sollevando il problema. Chi lo fa quelle norme le ha scritte e in questi anni, nonostante molte evidenze che alcune cose andassero cambiate, non lo ha fatto. Per esempio, dimenticandosi di definire, in tutti i governi che si sono succeduti dal 2001 a oggi, i Livelli Essenziali delle Prestazioni che nella Costituzione sono indicati.
Cosa fare? Riportare come minimo la protezione civile come competenza esclusiva nazionale, introdurre in Costituzione una norma che indichi chiaramente chi ha la responsabilità in situazioni di emergenza nazionale e creare un sistema di contrappesi che, in situazioni ordinarie, permetta allo Stato di intervenire in quelle realtà del nostro paese dove il servizio sanitario nazionale è semplicemente inaccessibile o ridotto ai minimi termini.
C’è una proposta promossa da Cittadinanzattiva e da oltre cinquanta associazioni del mondo civico, delle professioni sanitarie, delle imprese, di modifica dell’art. 117 della Costituzione, firmata da molti parlamentari di diversi gruppi, che aspetta di essere calendarizzata in Parlamento e che punta a creare un sistema di equilibri che parta dall’esigibilità dei diritti dei cittadini qualunque sia il codice di avviamento postale di residenza.
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