L’emergenza Covid-19 ha giustamente spostato l’attenzione della filiera sanitaria verso le terapie intensive e i reparti infettivologici e pneumologici. Sono stati creati nuovi posti letto per queste discipline, nonché in diversi casi nuovi ospedali dedicati all’emergenza e trovo giusto che queste nuove strutture, anche se al momento sottoutilizzate, rimangano attive per una eventuale “rebound” dell’epidemia. […]
L’emergenza Covid-19 ha giustamente spostato l’attenzione della filiera sanitaria verso le terapie intensive e i reparti infettivologici e pneumologici. Sono stati creati nuovi posti letto per queste discipline, nonché in diversi casi nuovi ospedali dedicati all’emergenza e trovo giusto che queste nuove strutture, anche se al momento sottoutilizzate, rimangano attive per una eventuale “rebound” dell’epidemia.
Nel frattempo, tutte le altre discipline sono state penalizzate e questo include la Neurologia. Molte neurologie sono state cancellate o hanno subito una notevole riduzione dei posti letto e tutte le attività elettive (incluse quelle ambulatoriali) sono state ridotte o soppresse. Di conseguenza i pazienti neurologici, specialmente quelli con patologie croniche complesse, sono rimasti privi di assistenza. Il ricorso ai video consulti e alla telemedicina si è rivelato di grande aiuto e questa esperienza ci potrà servire da insegnamento anche in futuro ad epidemia risolta. In questa nuova fase 2 abbiamo avuto una parziale ripresa delle attività, ma il rispetto dell’indispensabile distanziamento spazio-temporale non permette di soddisfare la richiesta di salute dei pazienti neurologici ed è impensabile che la Neurologia possa continuare per molto tempo a lavorare a “scartamento ridotto”.
Nell’attesa che passi la bufera, oltre a implementare ulteriormente il ricorso ai video consulti e alla telemedicina, è auspicabile che: si programmi una migliore interazione ospedale-territorio con una più efficiente distribuzione dei compiti; si rafforzi l’organizzazione delle reti hub-spoke e questo non solo per le patologie acute come l’ictus, ma anche per le patologie croniche complesse; e si aumenti il numero di specialisti in Neurologia, nonché il numero dei reparti.
Infine, l’esperienza COVID ha rinforzato un concetto già da tempo evidente. Fin quando gli ospedali saranno tanto dedicati alle patologie acute e il territorio non sarà in grado di accogliere istanze complesse, il bisogno dei pazienti cronici complessi continuerà a non trovare una adeguata soluzione. Il progresso scientifico, che in medicina è stato fondamentale per migliorare la qualità di vita della popolazione, ha reso la medicina e la Neurologia in particolare molto più complessa che in passato e ha fatto giustamente crescere la richiesta di prestazioni di alta specificità. Questo nuovo scenario non può essere fronteggiato se non aumentando le risorse per le Neurologie di alta specializzazione.
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