Il contributo di Giuseppe Mele, Presidente della Società italiana medici pediatri
Durante la pandemia di Covid-19, abbiamo potuto constatare che il SSN si è basato finora sul concetto di cura del paziente, per quanto ci riguarda, di cura del bambino. L’emergenza ci ha insegnato, al contrario, che non si può continuare a mettere al centro il singolo, ma è necessario pensare alla comunità.
Per questo, nella gestione della fase 2 e 3, torna l’esigenza di fare diagnosi di coronavirus: bisogna andare a ricercare i paucisintomatici e gli asintomatici e i bambini sono tra questi, e sono tanti: tra il 42 ed il 47% dei bimbi raramente presentano dei sintomi particolari di malattia. Quindi dobbiamo iniziare a pensare a una pediatria di comunità: l’idea è quella di avere degli spazi che siano distrettuali, territoriali, per fare diagnosi più che curare, e individuare così per tempo tutti i paucisintomatici o gli asintomatici in modo da ridurre l’incidenza della circolazione del virus.
Oltre a questo, però, credo che si debba iniziare a pensare a degli spazi dedicati al Covid, con personale specializzato e protetto che possa fare la diagnosi in tempi brevissimi. Creiamo le condizioni perché il territorio diventi il secondo pilastro della sanità perché l’ospedale deve avere altri compiti: ormai il 60-70% dei pazienti Covid sono a casa e allora bisogna creare le condizioni perché questa situazione posso essere gestita correttamente.
A scuola, poi, l’educazione sanitaria, l’educazione civica del bambino, devono avere un ruolo fondamentale e quindi anche la pediatria in questo senso deve avere possibilità e spazio di manovra.
Infine, per noi pediatri, sarebbe importante poter fare i vaccini nel proprio ambulatorio ed è giusto che un pediatra possa prescriverli. Noi abbiamo creato delle unità territoriali pediatriche che possono essere una risposta organizzativa più coerente alla gestione della fase 2 e soprattutto della fase 3.
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