La chirurgia oncologica è uno degli ambiti che ha sofferto di più in questa emergenza, perché la maggior parte delle sale operatorie è stata adibita a terapia intensiva. Fatta esclusione per gli interventi assolutamente non differibili, molti sono stati bloccati o rinviati. Questa situazione può essere sostenibile per un paio di mesi, ma non di […]
La chirurgia oncologica è uno degli ambiti che ha sofferto di più in questa emergenza, perché la maggior parte delle sale operatorie è stata adibita a terapia intensiva. Fatta esclusione per gli interventi assolutamente non differibili, molti sono stati bloccati o rinviati. Questa situazione può essere sostenibile per un paio di mesi, ma non di più. Un eventuale nuovo rinvio potrebbe essere pericoloso, in quanto si dovrà poi gestire non solo l’ordinario, ma anche l’arretrato. E questo vale anche per gli screening oncologici: rinviarli per due o tre mesi non comporta gravi rischi per la persona, ma di certo non si può pensare di prolungare questa situazione sine die. Stessa cosa per la radioterapia.
Dal punto di vista del sostegno psicologico, anche qui c’è stato un tentativo di mantenere un servizio anche a distanza. Tutto sommato, nell’ambito delle cure palliative oncologiche si è riusciti a mantener un livello più che accettabile di assistenza nella fase terminale della malattia. Così non è stato per quel che riguarda la vita quotidiana, ovvero le esigenze socio-economiche dei malati e dei loro familiari. Forse il Governo, al quale va fatto un grande plauso per tutto quel che è riuscito a fare, in questo caso ha pensato che il malato oncologico doveva essere, primo tra tutti, cautelativamente ristretto al domicilio per ragioni di tutela dal rischio di infezione. Ha fatto questo pensando anche agli strumenti che potessero essere utili a gestire lo stop lavorativo. Quindi la possibilità per i lavoratori dipendenti di avere giorni di congedo per rimanere a casa senza perdere la retribuzione e conservando il posto di lavoro. In realtà, c’è una polemica da parte di un po’ tutte le associazioni di pazienti perché questa previsione normativa, contenuta nel Cura Italia, è sembrata un “supplizio di Tantalo”: sulla carta esiste ma non è stata esigibile concretamente per difficoltà burocratiche.
Tutto questo per quanto riguarda quel che è successo durante l’emergenza. Su cosa puntare dopo? prima di tutto, implementare la telemedicina. Questa va ad integrare la medicina con visita diretta, non può e non dovrà sostituirla. In questo modo si sollevano le strutture sanitarie da un ingolfamento che, in ambito oncologico, è piuttosto importante. Da un lato sì da tempo e vita ai malati che possono ridurre le loro visite, perlomeno quelle non necessarie, presso le strutture di cura, dall’altro si dà un grosso beneficio all’intero sistema, diminuendo i costi sanitari e i costi “sociali”.
Lo stesso principio è applicabile, se vogliamo, in termini di medicina del territorio e assistenza domiciliare. Non a caso abbiamo coinvolgo la FNOPI, gli infermieri, perché una delle figure che sta nascendo e in cui crediamo fortemente è quella dell’infermiere di comunità e di famiglia. Questa figura renderà possibile una medicina del territorio, quindi anche la cura delle cronicità oncologiche o di quelle terapie che non sono necessariamente da somministrare in ambito ospedaliero ma che potrebbero essere somministrate o consegnate sul territorio, anche qui con una serie di evidenti vantaggi in termini di qualità della vita quotidiana, delle strutture ospedaliere, e via dicendo. Abbiamo poi puntato l’attenzione su innovazione e ammodernamento delle tecnologie per le reti oncologiche. Anche in questo caso si tratta di accelerare il passo perché le potenzialità esistono.
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