Il contributo della presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche Barbara Mangiacavalli
Appena l’emergenza sarà terminata si dovrà necessariamente rivedere la consistenza degli organici perché non sia solo un decreto a incrementarli, ma il naturale percorso universitario: prima di COVID al tavolo dei fabbisogni ogni anno chiediamo di riservare alle lauree infermieristica circa il 15-20% dei posti in più rispetto a quelli chiesto dalle Regioni (sempre al ribasso prima dell’attuale situazione) e a quelli stabiliti dal ministero dell’università.
Ora dopo l’esperienza COVID appare chiara la richiesta, soprattutto per il territorio dove si sono visti purtroppo gli effetti della mancanza di professionisti in grado di assistere i cittadini ad esempio gli anziani nelle RSA, dove la mortalità con COVID-19 è aumentata quasi del 50% rispetto alle rilevazioni dello stesso periodo dello scorso anno, con una concentrazione maggiore soprattutto al Nord e in particolare in Lombardia ed in Emilia Romagna dove i decessi legati a COVID-19 in queste strutture sono stati tra il 54 e il 57% di quelli totali.
Da rivedere poi per gli infermieri saranno sia le retribuzioni – che non possono restare ferme tra i 1300 e i 1600 euro al mese vista la professionalità e la tipologia di lavoro svolto – che l’iter formativo, prevedendo specializzazioni infermieristiche che anche in questo caso si sono dimostrate necessarie nell’emergenza dove la stessa Protezione civile le ha chieste per la task force da destinare alle zone rosse. Specializzazioni per le quali oggi gli infermieri, che hanno oltre la laurea triennale quella quinquennale e i dottorati di ricerca, ricorrono a master anche riconosciuti, ma pur sempre master e non regolari corsi universitari.
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